Tullio Serafin
Inviato: ven 14 nov 2008, 14:35
Tullio Serafin e l'opera preverdiana: disagio di un giudizio
Ho scelto questo titolo per esprimere il mio disagio per una valutazione globale di questo musicista.
Che fosse un grande non ci piove. Serafin aveva un repertorio illimitato ed era stato capace di scelte che definire ardimentose è riduttivo: la ripresa di Armida, la prima italiana del Wozzek tanto per citare i casi più clamorosi ed estremi.
Definirlo uno dei padri fondatori della vocalità di Maria Callas (che è come dire di una rivoluzione copernicana del canto), è pure scontato. Incredibile poi il fiuto dimostrato nel proporre (nel 1962, cioè in pieno meriggio delmonachiano) Vickers come Otello!
Per di più l'equilibrio tra esigenze della "buca" ed esigenze dei cantanti che la sua bacchetta garantiva a qualsivoglia partitura è restato per certi versi insuperato.
Però, però...
A distanza di mezzo secolo c'è qualcosa che non torna e proprio nel campo belcantistico.Ho infatti l'impressione che la fama di Serafin come restauratore delle partiture protoromantiche sia per certi versi impropria.
In effetti il maestro ha sostanzialmente riproposto, sia pure ad un livello d'eccellenza, le opere che erano restate nel repertorio tardo ottocentesto e un'esegesi nel solco della medesima prassi. Per fare qualche esempio: Norma, Sonnambula e Puritani per Bellini, ma non i Capuleti o la Beatrice; Lucia per Donizetti, ma non Lucrezia Borgia o il Devereux... Certo Serafin è anche il direttore a cui il Maggio musicale affida Armida e Tancredi, ma si tratta come ben noto di un'idea di Franco Siciliani e l'esegesi offerta dal direttore è ben lontana dall'essere convincente (a partire dai barbari interventi operati sui testi).
Tornando agli spartiti bellininani e donizettiani, il maestro non pare distinguersi per un approccio granché diverso da quello tradizionale. A dispetto del mirabile sostegno offerto alle voci, il suono orchestrale è talvolta sgarbato, tonitruante, incongruo con l'epoca in cui queste opere vennero scritte (e questo non ha niente a che vedere con l'uso dei c.d. strumenti d'epoca). Uscendo per un istante dal repertorio preverdiano non mi pare memorabile ad esempio il Trovatore napoletano con Callas e Lauri Volpi dove l'orchestra è poco meno che nefanda e la bacchetta sembra quella di un routinier!
Tradizionalissimo, poi, il rapporto con i tagli e i riaggiusti. Ritengo questo uno degli aspetti più criticabili dell'arte di Serafin. Siamo gusti: cosa sono i Puritani nelle mani del maestro se non una mera antologia dell'opera di Bellini? Confrontando la Medea incisa con la Callas con il noto live scaligero diretto da Bernstein si nota, addirittura, che l'edizione "in studio" è più tagliata di quella cantata in teatro! I tagli poi, sono a volte francamente incomprensibili: passino le potature ai da capo o certe omissioni "di tradizione" (es. nella Lucia), ma perché tagliare le ultime battute di un pezzo (ad es. del finale II di Norma) o la maggior parte del finale orchestrale di Medea? Non regge neppure la scusa di una compiacenza verso i cantanti... E tutto questo da un direttore che era stato collaboratore di Toscanini!
Certo i tagli e i riaggiusti non erano un'esclusiva sua, tutt'altro: Gavazzeni non era da meno per esempio. Va però detto, per dare a ciascuno il suo, che nel direttore bergamasco vi era un maggiore gusto nel riscoprire il passato anche al di fuori dei sentieri consueti.
Capitolo voci: so bene che criticare Serafin sulle scelte vocali è come parlare male di Garibaldi. Ma anche qui alcune considerazioni col senno di poi si possono fare. Infatti se è stato fondamentale il suo intervento nella carriera di Maria Callas, è un fatto che alcune tra le più rivoluzionarie interpretazioni di questa cantante siano legate ad altri "padrini": Gui per Medea, De Sabata per i Vespri e per il Macbeth (purtroppo mai incisi ufficialmente), Gavazzeni per Anna Bolena.
Inoltre, ed è una pecca che serpeggia in diverse incisioni callasiane, gli altri cantanti non sembrano sempre in sintonia con il recupero delle ragioni preveristiche operato dal soprano. E' il caso ad esempio del Di Stefano nella Lucia (e a maggior ragione di Eugenio Fernandi, Edgardo in un live RAI) dove se il soprano canta Donizetti, il tenore risponde con... Mascagni! E' lecito chiedersi se non sia compito del direttore, per di più con fama di raffinato conoscitore della vocalità, intervenire con tutti gli interpreti e non solo con la prima donna.
Tutto questo non certo per affossare un interprete che -ripeto- sta coi grandi del Novecento. Ma forse è giusto, oltre che riconoscere i meriti di Serafin, fare i conti anche con i limiti della sua lezione e vederne la vicenda artistica come tappa, non come non plus ultra.
Agli altri forumisti il diritto di manifestare il loro disaccordo.
Ho scelto questo titolo per esprimere il mio disagio per una valutazione globale di questo musicista.
Che fosse un grande non ci piove. Serafin aveva un repertorio illimitato ed era stato capace di scelte che definire ardimentose è riduttivo: la ripresa di Armida, la prima italiana del Wozzek tanto per citare i casi più clamorosi ed estremi.
Definirlo uno dei padri fondatori della vocalità di Maria Callas (che è come dire di una rivoluzione copernicana del canto), è pure scontato. Incredibile poi il fiuto dimostrato nel proporre (nel 1962, cioè in pieno meriggio delmonachiano) Vickers come Otello!
Per di più l'equilibrio tra esigenze della "buca" ed esigenze dei cantanti che la sua bacchetta garantiva a qualsivoglia partitura è restato per certi versi insuperato.
Però, però...
A distanza di mezzo secolo c'è qualcosa che non torna e proprio nel campo belcantistico.Ho infatti l'impressione che la fama di Serafin come restauratore delle partiture protoromantiche sia per certi versi impropria.
In effetti il maestro ha sostanzialmente riproposto, sia pure ad un livello d'eccellenza, le opere che erano restate nel repertorio tardo ottocentesto e un'esegesi nel solco della medesima prassi. Per fare qualche esempio: Norma, Sonnambula e Puritani per Bellini, ma non i Capuleti o la Beatrice; Lucia per Donizetti, ma non Lucrezia Borgia o il Devereux... Certo Serafin è anche il direttore a cui il Maggio musicale affida Armida e Tancredi, ma si tratta come ben noto di un'idea di Franco Siciliani e l'esegesi offerta dal direttore è ben lontana dall'essere convincente (a partire dai barbari interventi operati sui testi).
Tornando agli spartiti bellininani e donizettiani, il maestro non pare distinguersi per un approccio granché diverso da quello tradizionale. A dispetto del mirabile sostegno offerto alle voci, il suono orchestrale è talvolta sgarbato, tonitruante, incongruo con l'epoca in cui queste opere vennero scritte (e questo non ha niente a che vedere con l'uso dei c.d. strumenti d'epoca). Uscendo per un istante dal repertorio preverdiano non mi pare memorabile ad esempio il Trovatore napoletano con Callas e Lauri Volpi dove l'orchestra è poco meno che nefanda e la bacchetta sembra quella di un routinier!
Tradizionalissimo, poi, il rapporto con i tagli e i riaggiusti. Ritengo questo uno degli aspetti più criticabili dell'arte di Serafin. Siamo gusti: cosa sono i Puritani nelle mani del maestro se non una mera antologia dell'opera di Bellini? Confrontando la Medea incisa con la Callas con il noto live scaligero diretto da Bernstein si nota, addirittura, che l'edizione "in studio" è più tagliata di quella cantata in teatro! I tagli poi, sono a volte francamente incomprensibili: passino le potature ai da capo o certe omissioni "di tradizione" (es. nella Lucia), ma perché tagliare le ultime battute di un pezzo (ad es. del finale II di Norma) o la maggior parte del finale orchestrale di Medea? Non regge neppure la scusa di una compiacenza verso i cantanti... E tutto questo da un direttore che era stato collaboratore di Toscanini!
Certo i tagli e i riaggiusti non erano un'esclusiva sua, tutt'altro: Gavazzeni non era da meno per esempio. Va però detto, per dare a ciascuno il suo, che nel direttore bergamasco vi era un maggiore gusto nel riscoprire il passato anche al di fuori dei sentieri consueti.
Capitolo voci: so bene che criticare Serafin sulle scelte vocali è come parlare male di Garibaldi. Ma anche qui alcune considerazioni col senno di poi si possono fare. Infatti se è stato fondamentale il suo intervento nella carriera di Maria Callas, è un fatto che alcune tra le più rivoluzionarie interpretazioni di questa cantante siano legate ad altri "padrini": Gui per Medea, De Sabata per i Vespri e per il Macbeth (purtroppo mai incisi ufficialmente), Gavazzeni per Anna Bolena.
Inoltre, ed è una pecca che serpeggia in diverse incisioni callasiane, gli altri cantanti non sembrano sempre in sintonia con il recupero delle ragioni preveristiche operato dal soprano. E' il caso ad esempio del Di Stefano nella Lucia (e a maggior ragione di Eugenio Fernandi, Edgardo in un live RAI) dove se il soprano canta Donizetti, il tenore risponde con... Mascagni! E' lecito chiedersi se non sia compito del direttore, per di più con fama di raffinato conoscitore della vocalità, intervenire con tutti gli interpreti e non solo con la prima donna.
Tutto questo non certo per affossare un interprete che -ripeto- sta coi grandi del Novecento. Ma forse è giusto, oltre che riconoscere i meriti di Serafin, fare i conti anche con i limiti della sua lezione e vederne la vicenda artistica come tappa, non come non plus ultra.
Agli altri forumisti il diritto di manifestare il loro disaccordo.