Moderatori: DottorMalatesta, Maugham
vivelaboheme ha scritto:Ne avevo appena scritto, qui, su Lucerna 2013.
Un suono, dei suoni, che sembrava ti volassero sulla tasta.....DottorMalatesta ha scritto:Oggi è difficile e doloroso parlare di Claudio Abbado. Parlarne al passato, come di chi non è più con noi. Come di chi so che non potrò mai più ascoltare dal vivo. Parlarne con lucidità, senza farmi trascinare dal ricordo e dall´emozione.
Ho conosciuto e riconosciuto la grandezza di Claudio Abbado piuttosto tardi. Era il 2001, e rimasi folgorato dall´ascolto per radio dell´esecuzione delle Sinfonie e dei concerti per pianoforte ed orchestra di Beethoven. Solo da qualche anno mi ero accostato all´opera lirica, ed ero pressoché analfabeta in fatto di musica sinfonica. Claudio Abbado è stato un viatico, la chiave che mi ha permesso di aprire questa porta, di scoprire questo mondo per me nuovo.
Moltissime le opere che ho scoperto per la prima volta nelle sue interpretazioni, sia in ambito sinfonico che lirico: le sinfonie di Schubert, di Mendelssohn, di Brahms, di Mahler, i concerti per pianoforte e orchestra e il Requiem di Brahms, i Gurrelieder di Schönberg, Barbiere di Siviglia e Cenerentola, Pelleas und Melisande, Wozzeck, Macbeth e Simon Boccanegra, Elektra, Lohengrin, Carmen, Viaggio a Reims…
Molti i ricordi.
La prima delle molte volte che lo ascoltai dal vivo. Era il 2003, a Ferrara. Passai la serata appollaiato in uno scomodissimo palco laterale in compagnia di mio padre che, come avrebbe fatto molte altre volte ancora nelle mie trasferte abbadiane (a Reggio Emilia, Ferrara, Bologna), mi aveva accompagnato, timoroso delle nebbie padane che avrebbero potuto attendermi nel mio ritorno notturno. Ricordo ancora la pelle d´oca, la notte passata in bianco a rigirarmi nel letto, incapace di prendere sonno, ancora preda dell´emozione fortissima della serata. Solo ora mi rendo conto che è il direttore che, dal vivo, ho ascoltato più volte. E mi sembra strano sapere che non potrò più mettermi in viaggio per assistere ad un suo concerto.
Ricordo la bellezza del suo gesto. Un gesto di una chiarezza esemplare, un gesto che si faceva significato. E il suono. Il mistero di quel suono che, per magia, artificio o semplicemente tanto, tanto studio, riusciva miracolosamente nella quadratura del cerchio, riunendo l´analisi più minuziosa alla sintesi più completa. Ricordo il nitore di quei suoni, il calore e il calore di una musica che aveva il bagliore di cristallo di certe giornate autunnali, quando la pioggia è cessata, e tutto è come prima, eppure sembra di vedere tutto con occhi nuovi.
Ricordo una sua esecuzione della nona sinfonia di Mahler a Reggio Emilia. Seduta nel palco, con me, la madre di un giovane orchestrale francese membro della Gustav Mahler Jugendorchester. Ricordo il suo orgoglio nel raccontarmi di quel figlio che dopo anni di studio e fatica e sacrifici, era finalmente arrivato a coronare il suo sogno, suonare su quel palco, insieme con il maestro Abbado. Ricordo le sue lacrime alla fine del concerto. Ricordo le mie, al momento di rivedere mio padre sulla porta del teatro. Ho un po´di congiuntivite, penso di avergli detto, imbarazzato.
Ricordo l´attesa alla fine di un concerto a Verona (aveva diretto i Brandeburghesi di Bach in un´esecuzione che aveva tutte le sfumature del grigio). In mezzo alla calca di persone che gli si accostava apostrofandolo con il titolo di maestro, solo a me Abbado regalò l´autografo e un sorriso. Claudio, l´avevo chiamato.
Ricordo i molti pomeriggi passati in sua compagnia delle sue incisioni operistiche. Il suo Rossini di cartesiana ebbrezza, il suo Mozart brulicante di umanità, il suo Verdi dal respiro ampio e profondo. Il suo Lohengrin e il secondo atto del Tristano (se solo avesse voluto dirigere più Wagner!). La modernità dai colori taglienti della sua Carmen.
Per anni sono stato innamorato di Claudio Abbado. Di un amore intenso, adolescenziale, ingenuo, irrazionale. Passati gli anni, è subentrata una valutazione meno emotiva, più distaccata, più ragionata. Persino più critica. Ma resta, immutata, la riconoscenza. La sconfinata ammirazione. E, anche se diverso (perché diverso, in fondo, sono io), l´amore.
Addio, Claudio.
DM
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