Ti rispondo volentieri, Pietro. Io non ho voluto essere paternalistico con Triboulet; e non credo di esserlo stato; non avrei nessun titolo per fare questo. Ho visto in quello che Triboulet diceva il seguito di cose che ho letto tantissime volte. Per questo mi sono così irritato. Se poi Triboulet queste cose le ha maturate per conto suo, va benissimo; la mia irritazione sarà stata ingiustificata e me ne scuso ancora una volta. Non mi sento affatto diminuito da questo. Il fatto è che ho un'autentica allergia per il main stream. Mi dava noia l'incenso sparso a piene mani nei tempi in cui Karajan era vivo, dal momento che non era oro tutto quello che toccava. Ricordo una Settima di Beethoven divina e un mediocre concerto "Imperatore" con Weissenberg. Un irrilevante divertimento mozartiano k. 287 e delle magnifiche "Nozze di Figaro". Una sublime "Nona" di Bruckner e una discutibile "Settima" dello stesso autore. Una magnifica "Sinfonia domestica" e un "Also sprach Zarathustra" mal suonato (i Berliner!) e pieno di retorica. Ma le quattro sinfonie di Brahms, suonate in due sere consecutive a Salzburg, erano una meraviglia assoluta. Come diceva l'importante musicologo Franco Serpa, Karajan riesce come nessuno oggi (un oggi che era allora) "a togliere autorità al grandioso". E tutto questo in quel Brahms, così spesso stagliato in una prospettiva di eoismo fasullo, era nitidamente percepibile. Naturalmente Karajan non creava dal nulla; nessuno può farlo. I precedenti erano molti e fondamentali; basta pensare a Bruno Walter e Clemens Krauss. Ma un'operazione così radicale era allora una novità, che lasciò stupite molte persone. E che dire del suo "Ein deutsches Requiem"? L'ho ascoltato molte volte. Ed è stato impressionante vedere l'arco interpretativo che si è dipanato dalla prime all'ultima. Karajan è partito da un dolce lirismo, intimo, nostalgico, fidente (che cosa era la Janowitz, cantante che con mio grande stupore viene oggi ridotta in alcuni siti al ruolo di una semidilettante, nel "Ihr habt nun Traurigkeit"); nell'ultima sua versione, che ho ascoltato appena prima della sua morte, è invece approdato ad una visione angosciosa, massiccia, nordica, priva di un riscatto trascendente, della terribilità dell'esito ultimo. Incredibilmente, ricordava Klemperer, direttore che è sempre stato da lui lontanissimo. Ma sono convinto che la vicinanza della morte, lungi dal sopire, tragga da noi forze insospettate, enormi, trascinanti. Basta pensare all'ultima stagione creativa di Richard Strauss, che qualcuno, secondo me non del tutto a torto, considera la sua più alta. E certo (ma questo è solo un mio parere) Strauss non ha mai scritto nulla di più bello e struggente del finale di "Capriccio" e dei "Vier letzte Lieder". Questo per il main stream in vita di Karajan. Ma si è creato anche un main stream dopo la sua morte, un main stream uguale e contrario. Una sorta di contrappasso. Tanto era stato famoso, altrettanto la sua fama è stata immeritata, frutto di una bieca operazione commerciale. In internet si leggono centinaia di giudizi di questo genere, che confondono fatto commerciale con fatto artistico. Fatto commerciale che chiaramente esiste, ed anche molto forte. Ma vorrei che qualcuno mi spiegasse in che modo in un'epoca di capitalismo maturo qualunque fatto, artistico, politico, letterario, possa sottrarsi allo sfruttamento commerciale. Per poco che questo fatto abbia rilievo, tale sottrazione è impossibile. E' appunto per questo che qui sono necessarie le distinzioni, l'approfondimento, soprattutto la conoscenza. Per far in modo che l'interpretazione del mondo, del nostro mondo, non getti su di lui un velo di uniformità, ma sia sempre in grado di cogliere quel pezzettino di oro, quel prezioso gioiello che si sottraggono al potere e alla volontà di appiattire, cui nulla importa di preservare nella vita ciò che è autentico. Di questi gioielli la musica tramandataci da Karajan è ricchissima; sono gioielli che si oppongono strenuamente al mostruoso meccanismo commerciale di cui pure Karajan si è fatto tramite. Nella figura di Karajan questo contrasto si fa stridente, restio ad una rassicurante conciliazione: ed anche questo fatto è una ragione non ultima della sua grandezza.
Marco Ninci