Ho persino temuto di essermi spiegato malissimo... tanto che sono andato a rileggere i miei post precedenti e a cercarvi le ragioni che possono averti mosso ad attribuire a me concetti che mai avevo né scritto, nè pensato.
Ho letto e riletto, ma alla fine... mi spiace... no. Io mi ero espresso molto chiaramente.
Col tuo permesso, vorrei mettere un po' le cose a posto.
Tucidide ha scritto:E' senz'altro vero che fra la seconda metà degli anni '60 e i primi anni '80 la stragrande maggioranza delle incisioni discografiche fu appannaggio di pochi artisti. Di questo, verissimo, non ci si può che rammaricare. Artisti di grande levatura, come alcuni (non tutti, secondo me) che citi, meritavano una considerazione maggiore rispetto a quella avuta, specialmente per un certo genere di repertorio.
Già questa premessa (che vorrebbe essere un riassunto del mio pensiero!!) dimostra quanto non hai capito quel che avevo cercato di dire.
Se c'è qualcosa che io non ho mai pensato, mai detto, mai scritto sono le geremiadi sulla cattiveria delle case discografiche.
Ho sempre dichiarato, da anni e anni, che il mercato discografico ha altre regole rispetto al teatro, che lo studio di incisione è qualcosa da valutarsi non come "specchio ideale" del teatro ma come espressione di una forma d'interpretazione alternativa, che per il microfono occorre sviluppare tecniche di emissione acconcie, che quella dei discografici "brutti e cattivi" è una favola...
Ho scritto queste cose in decine di thread... e proprio tu, che spesso le hai ripetute quasi testualmente, ora mi metti in bocca un moralismo di segno opposto?
Che ci si deve rammaricare... che gli artisti non erano compresi...
MA QUANDO MAI????
Le case discografiche "devono" selezionare gli artisti!
Per forza! Sono obbligate! E' normale, è giusto, è ovvio! Ed è persino positivo!
esse sono costrette a investire su un limitato numero di artisti: su tutti non sarebbe possibile.
Prima di tutto la formula dei contratti in esclusiva era una "necessità", per risparmiare sui cachet dei cantanti (che l'esclusiva riduceva sensibilmente).
Solo grazie ad essi, la DECCA non era costretta a sborsare capitali ogni volta che Pavarotti o la Sutherland sbadigliavano.
Le esclusive d'altronde costringono le case discografiche a investire nella promozione dei loro artisti, nella pubblicità.
E questo è un altro fatto ultra-positivo perché consente ai teatri di fare gli esauriti (grazie ai divi canori) pur non avendo speso una lira per promuoverli.
Ciò che ho lamentato (puoi verificarlo sui miei post) non è il fatto che vi fosse un'aspra selezione negli studi degli anni '70, ma che (almeno per il grande repertorio) la selezione fosse fatta in modo da "accontentare" il pubblico e le sue abitudini... più che da accontentare Verdi o Puccini.
Non ho "lamentato" il fatto che negli anni della crisi non si chiamasse Waechter in Boccanegra al posto di Cappuccilli...
Probabilmente se fossi stato un discografico nemmeno io l'avrei fatto.
Ho solo CONSTATATO che in quegli anni si preferiva appunto andare sul "sicuro" con interpreti anche più modesti (purché rassicuranti e prevedibili) pur di non rischiare di irritare il rado, vecchio e stanco pubblico sopravvissuto alla crisi...
Artisti di grande levatura, come alcuni (non tutti, secondo me) che citi, meritavano una considerazione maggiore rispetto a quella avuta, specialmente per un certo genere di repertorio.
Se tu queste cose le scrivessi come "tuo" punto di vista, mi andrebbe benissimo...
Ma visto che le metti in bocca a me, mi costringi a fermarti.
Io le banalità tetre e depressive sui poveri artisti esclusi dal mercato discografico non le ho mai condivise.
Tanto più che gli artisti che avevo citato (l'ho fatto apposta) hanno tutti goduto di grandissima considerazione. Inoltre erano assidui frequentatori delle case discografiche, spesso protagonisti di operazioni clamorose, in testa alle vendite, ...alcuni di loro addirittura proprio con Karajan.
MA.... non in Verdi, Puccini e il grande repertorio.
Lì c'era spazio solo per i soliti noti.
Tra l'altro avevo anche specificato che l'onnipresenza dei soliti noti (negli anni della crisi) non era dovuta alla "cattiveria" delle case discografiche.
Non ci credo io a questi buonismi puerili bloggari e loggionari.
L'HO PROPRIO SCRITTO, TUC!
Se si interpellavano ossessivamente i Dominghi e le Caballé, i Bruson e le Freni non era solo per i contratti firmati, ma anche perchè il pubblico era già abituato a loro: non avrebbe dovuto fare lo sforzo di porsi di fronte a suoni nuovi e inattesi.
Il potere delle case discografiche non era la "causa", ma lo specchio della crisi in atto.
Ma andiamo pure avanti.
Dopo che hai così efficacemente sintetizzato e riassunto (!!!!!) il "mio" (!!!!) pensiero, arrivano le contestazioni.
Però, non condivido ... la demolizione di un certo tipo di fare opera, e conseguentemente degli artisti che l'hanno incarnato, seppure in modo diversissimo fra loro. Mi pare un po' superficiale mettere nello stesso calderone baritoni dissimilissimi come Bruson, teso in acuto, morbido nell'emissione, nobile e legatissimo, dalla voce non grande, e Cappuccilli, baritonaccio (in senso positivo) dalla voce gagliarda ed enorme, dall'emissione un po' rozza ma efficacissima ed esaltante in acuto.
Gli argomenti che metti in campo, in realtà, sono due e ben diversi fra loro
Da un lato non condividi la mia "messa in discussione" del modo di cantare e interpretare Verdi negli anni '70; quindi mi accusi di mescolare in un unico "calderone" (?) i grandi divi di allora, come Bruson e Cappuccilli....
Be', Tuc... Ti ringrazio di averci così dottamente rivelato le abissali differenze fra Bruson e CAppuccilli!
Davvero, ti ringrazio...
Però vedi... io lo so bene che Bruson era più corto di Cappuccilli... e so che era più "belcantista".
Forse perché, sai, li sentivo entrambi a teatro pressapoco quando tu venivi alla luce!
Ma forse non hai capito bene in che cosa io li avevo unificati (loro, con la Freni, la Ricciarelli, la Cossotto, i Ghiaurov, i Raimondi, ecc....)
Non per la tecnica, nè per le caratteristiche vocali ...
Allora per cosa?
Tu dici (quasi sprezzantemente) "popolarità".
E in certo senso ti avvicini di più... Ma non ci sei ancora...
La verità è che io li avevo unificati - come si evinceva benissimo dal mio post - per la comune investitura a "unici interpreti del grande repertorio italiano".
Era questo il comun denominatore su cui puntavo il dito: il fatto che tutti loro erano stati attentamente selezionati dai discografici (e quindi dai teatri del grande Slam) proprio per il loro essere in linea con quanto si attendeva il pubblico della crisi (sempre più recalcitrante a comprare dischi).
Proprio Bruson e Cappuccilli rappresentavano in questo senso la stessa cosa: il primo era il tradizionale "gran seigneurs", l'altro il tradizionale "vilain".
Ad unificarli era quindi qualcosa di molto più importante del suono: era il confortevole conformismo che andavano a vellicare.
Idem per Pavarotti e Domingo (o Carreras). Idem per Raimondi e Cappuccilli, o per Freni e Cossotto.
Sia pure nelle loro differenze (che ti ringrazio ancora di averci dottamente illustrato), tutti loro erano lo stretto da cui si doveva passare per ascoltare Verdi, Puccini nel ventennio di cui ci stiamo occupando.
Perché?
Perchè erano geni? no...
perchè erano unici? no....
perché dominavano più di chiunque altro la tecnica e lo stile giusti per questi ruoli? nemmeno....
Solo perché era stati individuati come cantanti idonei a un mercato ormai talmente ridotto e malato da non autorizzare sperimentazioni e rischi di sorta.
Era questo che cercavo di comunicare a Triboulet.
In un contesto simile, i cast di Karajan - che oggi a lui appaiono addirittura conservatori e banali - erano una boccata di ossigeno "sperimentale" e, proprio per questo, un vespaio di polemiche furibonde.
Ma veniamo all'altro punto della tua critica.
La "messa in discussione" degli artisti di quegli anni (che mi rimproveri) in realtà non viene solo da me, ma praticamente da tutti coloro che sono intervenuti nel thread. Per inciso, era condivisa all'epoca anche dal più volte citato Rodolfo Celletti.
Se vuoi possiamo riaprire il thread sugli anni 70 e io ti spiegherò dettagliatamente perché considero Domingo un modesto Ernani, la Freni una modesta Elvira, Bruson un modesto Carlo e Ghiaurov un modesto Silva. E già con loro quattro avremo praticamente coperto due terzi di quei famosi vent'anni di discografia verdiana.
A proposito di Celletti...
Scusa se ti parlo apertamente, ma mi fai proprio sorridere quando tenti (molto confusamente, peraltro, e ti dimostrerò perché) di cogliermi in fallo... dicendo:
"ah... ma questo lo diceva anche Celletti!! Ti ho fregato!!!"
Se vuoi saperlo, sono ben altre le affinità fra le mie idee e ciò che ha scritto Celletti . E questo non inficia per niente la coerenza delle mie idee.
Anzi, dimostra solo che non sono schiavo di manicheismi e partigianerie grossolane.
Sono capace di dar ragione a Celletti, pur contestandolo su altri fronti.
Di cose giuste e importanti ne ha dette tantissime anche lui: non vedo ragione di contestarlo per partito preso.
Essere liberi pensatori (o in questo caso ascoltatori) significa anche saper discernere - in perfetta coerenza con le nostre idee - fra ciò che ci pare giusto e ciò che ci pare sbagliato, senza annullarsi in posizioni preconcette o affermare assurdità, magari contraddirsi, pur di dare ragione o torto a qualcuno.
Pensare di "smascherarmi" con la tua superiore arguzia, perché hai creduto di scorgere qualche affinità tra il mio pensiero e quello di Celletti è un po' (come dire?) una bambinata!
Specie se, come in questo caso, incappi per giunta in uno di quei casi in cui io e Celletti la pensiamo in modo non solo diverso, ma opposto!
E allora non solo sei costretto a inventarti quel che scrivo io, ma anche a inventarti quel che scriveva Celletti.
Poi, mi pare tu sottintenda che costoro erano piccoli artisti, rispetto ad altri che, poverini, non erano tenuti in considerazione dai discografici brutti, sporchi e cattivi. E qui... Etti etti, sento odore di Celletti.
E difatti, ecco il secondo punto: una frase come questa è presa pari pari dai deliri dello Zio...MatMarazzi ha scritto:Una delle poche strade per tenere viva l'opera era quella di costruire (ovviamente a tavolino) miti mediatici e imporli. A noi oggi i Pavarotti e i Domingo, le Cossotto e le Freni (non parliamo di Ricciarelli o Carreras) fanno un po' alzare il sopracciglio... "ma come? tutto qui?". Ma all'epoca i loro "miti" artefatti e costruiti a tavolino da agenti e case discografiche furono un efficace argine contro la completa dissoluzione del genere.
Ci manca la taccia di "cioccolatai" e siamo a posto!
Ma come sei furbo, tu...
Tu si che mi svergogni...
E tuttavia che la tua buonafede sia fuori discussione lo dimostra l'ingenuità con cui mi hai citato!
Se fossi stato un po' più smaliziato, infatti, avresti avuto l'accortezza di cancellare la seconda parte della mia frase, quella che qui ti evidenzio in grassetto...
MatMarazzi ha scritto: Ma all'epoca i "miti" artefatti e costruiti a tavolino da agenti e case discografiche furono un efficace argine contro la completa dissoluzione del genere.
attribuire all'eredità cellettiana una considerazione del genere non fa solo sorridere me; farebbe anche inorridire i veri cellettiani.
Ma tu sei davvero convinto (ma proprio davvero davvero) che Celletti avrebbe sottoscritto che "i miti artefatti e costruiti a tavolino da agenti e case discografiche furono un efficace argine contro la completa dissoluzione del genere?"
Per lui proprio le politiche di marketing di agenti e discografici erano l'origine di tutti i mali; altro che "argine".
Se tu conoscessi meglio Celletti, sapresti che mi avrebbe mandato al rogo per molto meno...
Comunque che le case discografiche riuscissero a imporre (negli anni 65-85) i loro artisti, non è una scoperta di Celletti.
E' una verità nota a tutti.
Nè io, come dicevo prima, sono tipo da negare la realtà storica solo perché ...Celletti va contraddetto a prescindere.
In questo caso diceva la verità: le case discografiche erano potentissime in quegli anni; il problema è che Celletti non arrivava a capire il "perché" fossero così potenti.
La loro potenza non era la "causa" della crisi, ma la conseguenza.
Le case discografiche si trovarono a ...fare le veci di teatri in dissoluzione! Proprio a causa della crisi, si trovarono investite di responsabilità nuove, le uniche in grado di maneggiare denaro che da altre fonti cominciava a scarseggiare.
Affrontare quelle responsabilità (ad esempio, creando "miti a tavolino") non era solo un modo per loro di sopravvivere, ma indirettamente per aiutare tutto il mondo dell'opera a sopravvivere.
Le presenze a teatro scendevano, le nuove generazioni disprezzavano l'opera... eppure il nome di Pavarotti e di Domingo erano noti nei cinque continenti.
Se c'era la possibilità di fare un esaurito a teatro era solo quando si muovevano i prodotti delle case discografiche.
Come vedi, più lontano da Celletti non potrei essere!
(per inciso, mi spieghi da dove ricavi l'equazione fra "costruire carriere a tavolino" - cosa che effettivamente ho scritto - e "essere brutti e cattivi" o addirittura "cioccolatai" - che invece hai scritto tu, salvo, more solito, attribuirlo poi a me?
Evidentemente l'equazione - e relativa banalizzazione - era già nella tua testa, nel tuo - NON MIO - debito inconscio al moralismo cellettiano e loggionistico.
E questo debito me lo confermi quando parli di Tosche "finte" a proposito della Freni, solo perché non cantò mai la parte a teatro!
Io, ad esempio, che da moralismi cellettiani sono immune, ti risponderei che la Tosca della Freni - in quanto oggetto discografico - esiste, è arte, e va valutata per il tipo di prodotto artistico che è!
Il fatto che lei abbia o non abbia fatto Tosca a teatro non toglie nè aggiunge nulla a ciò che ne ricaviamo noi ascoltandola!
Proprio come l'Ariadne della Schwarzkopf, la Bohème della Callas, la Turandot della Sutherland, l'Elektra della Rysanek o il Così fan tutte di Karajan.
Come vedi sei tu che ti porti dietro queste equazioni e semplificazioni; anzi, sono talmente radicate in te che ti viene spontaneo, senza alcuna malafede, le applichi anche al pensiero degli altri! Per forza poi travisi e pasticci come in questo post!
Devi starci attento, Tuc...)
Spero che ora tu sia in grado di capire i nessi logici del mio discorso...
1) io approvo che le case discografiche alimentino miti per tenere viva l'Opera anche in epoche di crisi. Per fortuna che lo fanno!
2) data la crisi, comprendo anche la scelta di trasformare in miti, almeno nel grande repertorio, cantanti più rassicuranti e prevedibili che fantasiosi.
3) con tali premesse, devo però constatare - se vuoi con amarezza - che il grande repertorio in quegli anni risultasse ...molto prevedibile e poco fantasioso.
A me sembra molto semplice...
Lasciarli fuori dalle sale di registrazione, come tu avresti fatto, sarebbe stato illogico. Lo so che il tuo sogno proibito sarebbe stato vedere Winbergh onnipresente in tutte le grandi incisioni Decca, e Pavarotti relegato a fare il comprimario... Peccato che Pavarotti fosse una stella, e non perché ci fossero sinarchie occulte, la Bilderberg dell'Opera coalizzata a suo favore contro il povero Gosta.
Più vado avanti a leggere il tuo post, più resto allibito...
Tanto allibito che qui, per la prima volta, non riesco nemmeno a mettere una faccina sorridente.
Una cosa è affermare, in mezzo ad altri esempi, che Wimbergh sarebbe stato un buon Ernani (sicuramente migliore di Domingo e se vuoi ti spiego perché).
Tutt'altra cosa è dichiarare che avrei voluto Wimbergh onnipresente e Pavarotti relegato a fare il comprimario.
Anzi ...non solo è tutt'altra cosa: è proprio una cazzata che non avrei mai scritto e mi dà un certo fastidio che tu mi attribuisca, sia pure con faccine scherzose.
Idem per l'ancora più grossa cazzata sulle "sinarchie" occulte contro Wimbergh.
Per inciso, io capisco che tu sei ancora "fresco" come appassionato d'opera ed è normale che tu conosca poco Wimbergh, la sua splendida carriera nei maggiori teatri del mondo - compreso un 7 dicembre, che per un cantante non italiano è una bella conquista - e la sua assiduità in sala di incisione...
Ma proprio perché io queste cose, a differenza tua, le so, ancora meno avrei potuto scrivere una roba simile.
Vorrei, davvero Tuc, che per il futuro facessi un po' più attenzione (quando replichi alle affermazioni di qualcuno) di riportare con precisione ciò che egli ha scritto. Inventarsi cazzate e poi metterle in bocca all'interlocutore non porta alcun serio contributo al dibattito, semmai lo abbassa.
Questo non toglie che si sarebbe dovuto osare di più. Certo! Le volte che qualcuno ha osato, spesso è venuto fuori qualcosa di bello. Per esempio, chi affidò Konstanze alla Eda Pierre nell'incisione Philips ha avuto naso: è una delle migliori Konstanze che si ricordino.
Ecco... qui, se mi permetti, temo che si ripiombi nelle banalità bloggare-loggionistiche.
Osare di più! Ma con che soldi? con i tuoi?
Le case discografiche rischiavano capitali sui loro divi e facevano benissimo a investire su di loro.
Poi che i risultati appaiano oggi - a crisi finita - oggettivamente modesti è un altro discorso.
Quanto alla Eda Pierre... ma cosa mi dici?
"Una delle migliori Kostanze che si ricordino"?
Mamma mia... Forse non hai presente cosa era la Eda Pierre nei suoi veri grandi ruoli....
E comunque mi pare un po' grossa il citare quel Ratto dal Serraglio come prova di chissà quale "naso" da parte della Philips.
La Eda Pierre era da anni sotto contratto di esclusiva con la Philips! Aveva già inciso tutto il ciclo Berlioz (e guarda caso proprio con Colin Davis)!
Inoltre aveva già cantato Kostanze dappertutto, addirittura al Met!
Capirai il naso...
Infine, che c'entra Mozart?
L'onnipresenza dei soliti noti era stata denunciata nel "grande repertorio italiano" (quello di cui si parlava in riferimento a Karajan).
Mozart non c'entra nulla...
Anche Wimbergh, la Varady, Wachter, la Price incidevano moltissimo e in occasioni da storia del disco! Il punto era che non li si chiamava in Verdi e Puccini!
Su Karajan: secondo me, la sua rivoluzione maggiore non è tanto nel repertorio italiano quanto in quello tedesco. Usare calibri vocali più ridotti per Dedemona e Tosca, per Aida ed Elisabetta non è stata un'idea di Karajan. In Wagner, invece, certe scelte di distribuzione sono semplicemente geniali, e davvero rivoluzionarie.
Ecco Tuc.
Questa è, a mio parere, la più grande falsificazione storica e banalizzazione che si potesse scrivere.
Già in altre sedi si è ampiamente dimostrato che proprio in Wagner e nel repertorio tedesco Karajan mancò di originalità, dove anzi fu terribilmente debitore dell'estetica della Neue Bayreuth. Nei suoi cast, non c'è nulla che non si fosse praticamente già visto... e comunque niente di paragonabile a una Baltsa in Amneris o una Ricciarelli in Turandot.
Se vuoi possiamo riaprire (per l'ennesima volta) l'argomento e discuterne un po'...
Ma per ora posso anche non dilungarmi in merito, non solo perchè il post è già molto lungo, ma anche perché almeno... di quest'ultima "invenzione" ti sei assunto la paternità, senza attribuirla a me!
Salutoni,
matteo