Rispondo volentieri, anche se mi attribuisci giudizi irritanti (o sparati col cannone...come se il tuo infierire continuamente su quanto faccia pena Muti - con mille frecciate e riferimenti malevoli - sia un esercizio di fioretto) e incapacità di esporre ragioni musicali
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Su Muti:
1) ho espressamente dichiarato di voler evidenziare certe esagerazioni (in entrambi i sensi): ovviamente entrambi i direttori - di cui, ripeto, non sono fan - hanno caratteristiche positive e negative. In questa sede, però, ho voluto prendere in considerazione la "leggenda nera" di Muti e quella dorata di Abbado;
2) non è pratica manichea (o denigratoria) cercare di fare il punto sui pregi di Muti (spesso negati) e sui limiti di Abbado (ritenuti inesistenti): certo - se hai tempo di rileggere quanto ho scritto - dicendo che "l'argomento è molto più vasto" ho voluto proprio evidenziare la necessaria parzialità del mio intervento: non sono tanto sciocco da ritenere Abbado un direttore mediocre o tanto disonesto da non accorgermi di certi vezzi di Muti. Il mio discorso è, semplicemente, diverso;
3) gli elementi extramusicali: ho fatto riferimento ad essi perché, nel vero e proprio culto abbadiano, tali elementi sono purtroppo presenti. Ti chiedo, onestamente, non credi che certi atteggiamenti di Muti (non ultima l'agiografia dei giornali milanesi, fino a che era in auge) abbiano influenzato il giudizio sul direttore? E vale, al contrario, per Abbado (l'impegno sociale, mediaticità, partecipazione). Ho il sospetto, cioè, che i giudizi contrastanti (così forti e così violenti) derivino in parte da simpatie personali o da visioni ideologiche. A me, personalmente, importano poco...ma ne rilevo l'esistenza;
4) la "simpatia" per Muti: ammetto di essere stato esagerato nel definirlo "simpatico"
però non riesco a trovarlo così detestabile come, spesso, viene descritto. Continuo, tuttavia, a ritenerlo "vittima" nell'affaire scaligero: aldilà delle alchimie burocratiche (sfiduciato o dimesso: suvvia non siamo nel parlamento della Repubblica) Muti - dopo anni di idolatria (esagerata) - è stato cacciato per manovre interne (e per ragioni di politica sindacale, francamente nelle motivazioni dell'assemblea dei lavoratori non ho mai trovato cenni a ragioni artistiche: piuttosto al fastidio per la nomina di Meli al posto di Fontana). A me è parsa una resa dei conti tra maestranze e direttore dalla personalità debordante (con tutto il rispetto per il Sig. Barigazzi che legittimamente avrà una sua opinione, come ce l'hanno altri, magari diametralmente opposta);
4) il Muti "accentratore" o "nuovo Toscanini": tutti titoli che la stampa enfatizzava. A parte che un direttore d'orchestra è di natura accentratore (lo fu Karajan per 30 anni coi Berliner - e nessuno si è mai sognato di criticarlo perché non lasciava spazio ad altri), io credo che svolgendo un incarico di direttore stabile di un teatro d'opera, non sia del tutto sbagliato essere presente in tante produzioni (come lo è Pappano a Londra o lo era Levine a NYC) o definire le scelte artistiche nel momento in cui si spende - per creare una specifica identità orchestrale (attraverso molte prove: pietra dello scandalo e una delle ragioni del malcontento delle maestranze) - energia e tempo. Muti, mentre era direttore in Scala, non occupava altri posti in modo stabile (al contrario di Barenboim) e neppure delegava a collaboratori le prove. Senza contare il lavoro fatto per la filarmonica;
5) le differenze con Toscanini: al di là dei titoli dei giornali (per cui chiunque esegue Verdi in Italia con certo successo, magari in Scala, diventa ipso facto "erede di Toscanini" - così come ogni nuovo tenore di successo nel repertorio italiano viene considerato il "nuovo Pavarotti"). Io trovo che l'approccio direttoriale sia diversissimo: mentre Muti ha, come faro interpretativo, una certa trasparenza ideale, neoclassica, ripulita, Toscanini prediligeva l'urgenza ritmica e certe espansioni veriste;
6) la curiosità di Muti: io parlo del Muti musicista...il Muti che porta alla Scala Lodoiska o la Vestale (in forma originale, non trasformata in una specie di melodramma), Gluck e il Rossini serio (durante la sua carica si sono ascoltati Maometto II, Donna del Lago, Tancredi, Tell, Moise...), l'opera napoletana, ma anche l'opera russa (Mazeppa, Guerra e Pace, Boris, Covanchina...). Ti invito a leggere le cronologie dei suoi vent'anni a Milano: la realtà è davvero più complessa. Sui registi/decoratori posso anche essere d'accordo, ma c'entra poco con la musica e con la valutazione del direttore d'orchestra: peraltro si potrebbe dire la stessa cosa di Karajan (che si cimentò pure nella regia, con risultati pessimi), ma questo non intaccherebbe la sua fama;
7) repertorio sinfonico: non è solo questione di compagini strumentali, ovviamente, ma di repertorio...io semplicemente lo trovo più vasto e interessante. Anche il suo Beethoven (criticato): lo trovo più interessante del primo ciclo di Abbado (quello con i Wiener, di cui, davvero, mi domando l'utilità);
8 ) trovo il Verdi di Muti migliore di quello di Toscanini, sì! Lo trovo più equilibrato, più attento al testo e ai segni espressivi (è priva di fondamento l'idea di Toscanini fedelissimo esecutore verdiano: tra tagli, aggiusti ed effetti veristi sparsi un po' ovunque), più attento al colore notturno, più rifinito. Francamente - partitura alla mano - non trovo che Muti commetta arbitri (e poi un direttore non è un esecutore testamentario della pagina scritta: non lo è nessuno...ovviamente la percezione cambia a seconda dei gusti): le cabalette sono veloci? D'accordo, ma lo sono legittimamente (e del resto tempi larghi e comodi sono un portato della tradizione che oggi si vuole superare). Effettacci? Non ne sento, francamente: anzi ritengo che Muti riesca a non cadere nell'effettaccio bandistico senza incorrere nel suo contrario, ossia stendere una patina di austera nobiltà come se Verdi dovesse essere "aggiustato". Io credo che la sua direzione del Trovatore sia ancora esemplare (così notturna, giovanile, donizettiana), così come il primo Verdi che, diamine, non è Debussy e necessita di una certa spavalderia;
9) è filologia riportare un testo corretto (secondo moderne edizioni critiche), riaprire i tagli, eliminare certe incrostazioni, eseguire i "da capo", togliere certi acuti interpolati (diventati con gli anni la ragione stessa di certi brani, nonostante la loro bruttezza o nonostante i patteggiamenti che comportavano - in termine di abbassamento di un tono o due - al sol fine di emetterli)... E questo accade in Scala in un repertorio popolare per cui il pubblico si aspetta certe cose (pur estranee alla partitura). Per me è rivoluzionario;
10) Tell e Vespri in italiano: d'accordo, poteva farli in francese. Anche Abbado poteva fare il Don Carlo in francese o I Capuleti e Montecchi con un mezzosoprano nel ruolo di Romeo. Sul Tell, in particolare, mi sembra disonesto insistere sulla lingua: innanzitutto perché adotta una versione riveduta del testo che ripristina la corrispondenza con la musica (soluzione auspicata da Gossett che non è certo un dilettante in filologia). Ma poi quanti sono - nella storia discografica e rappresentativa dell'opera - i Tell in francese? I Vespri in italiano..d'accordo, ma integrali e con una scelta interessante (seppur poco riuscita) nel cast (riportando l'opera ad una dimensione più neoclassica che risorgimentale). Che significa "non aver fiducia"? Guarda che la traduzione non è una bestemmia;
Su Abbado:
1) davvero credi che il rifiuto di Abbado per Puccini o altro repertorio italiano (più o meno localizzato nei primi decenni del secolo XX) sia dovuto semplicemente a "sentita inadeguatezza"? Io credo, e non sono il solo, che il Divo Claudio sia stato condizionato da un certo pregiudizio culturale: leggi quanto si scriveva negli anni '60 e anche prima su Puccini (Adorno lo liquidava con disprezzo come "musica leggera"). Idem per Verdi di cui affronta solo certi titoli ben lontani dal "melodramma" (che all'epoca era considerato una forma musicale di serie B: pensa allo scandalo di Karajan che "osò" portare il Trovatore a Salisburgo). Idem per Rossini di cui Abbado affronta solo il repertorio buffo perché intellettualmente sdoganato (nel senso che si trovò all'interno del suo teatro una carica antiborghese e anarchica che poteva giustificare l'interessamento di un certo tipo di intellettuali);
2) quantità o qualità? Quantità e qualità? Dipende: ci sono direttori onnivori e altri più limitati. Il fatto è che Abbado mi pare ostinarsi in un certo repertorio per scelte d'impegno. Abbado ha, oggi, un repertorio risicatissimo (basta vedere le sue ultime esibizioni dal vivo) che - per motivi diversi - non gli appartiene del tutto oppure in cui non riesce a dire qualcosa di significativo. Macina sempre e solo il sinfonismo classico tedesco e ha abbandonato del tutto il gusto sperimentale degli anni '60/70. Ho sentito tante volte Abbado (dal vivo e in disco) e mi chiedo perché ostinarsi con Mozart e Beethoven invece di tornare a Debussy. Ti confesso che mi piacerebbe ascoltarlo in Hindemith o in Stravinskij piuttosto che nell'ennesimo Mahler e Beethoven. O il repertorio sinfonico russo: conoscendo il suo modo di dirigere e interpretare sarebbe interessante sentire Rimskij-Korsakov, Borodin, Chaikovskij "sgrassati" dalla patina di russicità. E poi Shostakovich, è un peccato che non l'abbia mai affrontato. Circa i singoli autori:
- Beethoven: non sono il solo a definire furbesco l'approccio di Abbado. Nell'immediato è convincente e appagante, ma poi... Cosa dice di più rispetto a un Paavo Jarvi o a Herreweghe (anche loro debitori della lezione di Gardiner o di Hogwood, ma esploratori di altre vie espressive)? Abbado si limita a seguire una scia, una strada tracciata da altri che altri ancora hanno già superato.
- Mahler: inutile integrale, sì...lo affermo, perché riproporre lo stesso Mahler viennese già sentito e risentito (a tratti magniloquente, a tratti autoreferenziale) può essere una buona riuscita discografica, rivolta ad un pubblico che acquista il suo primo Mahler, ma risulta priva di interesse dopo Bernstein, Zinman, Tennstedt e, soprattutto Boulez (direttore che amo particolarmente).
- Mozart: il Mozart di Abbado nasce "vecchio". E' ben suonato, elegante, ordinato, olimpico, apollineo. Garbato come quello di Marriner o di Davis, ma in ritardo di 30 anni. Che piaccia o meno oggi Mozart non è più mero esponente dell'eleganza settecentesca, non è una figurina rococò o una bambolina di porcellana. Per stare all'attualità (e a prescindere dai gusti) ti cito Jacobs e Pappano, ma anche Mackerras e Immerseel: mondi diversi, ma infinitamente più vivi del Mozart di marmo e gesso che oggi Abbado ci infligge. Parlo di "noblesse oblige" perché - come per altri repertori - credo che la scelta sia indotta dal voler ricoprire un certo ruolo, quello dell'interprete sommo del repertorio sinfonico austro tedesco: e come non può mancare Beethoven così non manca Mozart. Il miglior Mozart di Abbado è quello in coppia con solisti, perché lì il direttore si limita ad assecondarne le scelte (dalla Faust alla Pires alla Argerich). Le opere, poi (Nozze e Don Giovanni) totalmente impermeabili alle suggestioni della filologia esecutiva (Muti - che pure è rappresentato come sordo a queste istanze - curava in Scala l'organico del ciclo dapontiamo con molta più attenzione): approccio romantico e suono orchestrale tradizionalissimo (appena sgrassato nel Don Giovanni). E' tutto già sentito...e siamo nel '95 e nel '98: c'è già stato Harnoncourt, Gardiner, Mackerras! A questo punto preferisco il classicismo pulito e nervoso di Muti che la melassa asettica di Abbado (in Mozart)
- Verdi: io questo avvicinamento alla retorica manzoniana proprio non la sento, anzi percepisco l'esatto contrario. Un Verdi dichiaratamente mitteleuropeo che nasconde certe sue peculiarità per rendersi più "gradito" a chi è abituato ad ascoltare Schubert o Weber. Verdi è ANCHE "cabalette", barricate, "zum-pa-pa", retorica...come genialmente ha capito Levine. Senza contare il manierismo con cui risolve Falstaff (tenuto a distanza di sicurezza dagli aborriti esponenti della "giovane scuole", mentre in realtà ne è una premessa). Stesso manierismo e artificiosità di Aida o del Ballo (ma pure nel Don Carlo DGG).
Wagner: Abbado incide Lohengrin negli anni '90, ma non riesce a staccarsi da una generale gradevolezza, sospeso a mezza via tra vecchia retorica e timide aperture a nuove istanze espressive (ritorno a Boulez e al suo Parsifal diretto 25 anni prima e molto più innovativo, o a Kegel o a Kubelik, molto più "moderni"). Non è certo un riferimento esecutivo;
3) non ho parlato io di Abbado "filologo", ma tu ne hai intessuto le lodi quale protagonista della Rossini renaissance (oltre che contrapposto a Muti "colpevole" di non aver alcuna attenzione per la filologia): però se Muti non crede nel Tell o nei Vespri se li fa in italiano che dire di Abbado che fa cantare Romeo a un tenore o ripropone il Don Carlo in 5 atti in italiano e senza balletto? Quanto al cambio di testo: è sintomo di una sfiducia in Verdi e di una necessità di "nobilitarlo" anche politicamente;
4) il suono di Rossini: io non trovo chissà quale mutamento di prospettiva in Barbiere, Cenerentola o Italiana (già Gui aveva un approccio diverso dalla tradizione)...e poi sì, ne faccio anche una questione di tagli, voci e repertorio.
Detto questo non voglio convincerti di nulla...ognuno ha i suoi gusti: a patto, tuttavia, di non ritenere i propri "giusti" e gli altri "sbagliati" o offensivi...meritevoli di "faccine" o di prese in giro...
E sì...che ti piaccia o meno potrei andare avanti: su Muti e su Abbado..