Poiché se ne è parlato in altro thread (la recensione di Gustav al Don Giovanni di Abbado) vorrei riflettere un po' su questo moderno divo baritonale, e in particolare sul suo rapporto con Verdi.
E' ovvio che Keenlyside segue passo dopo passo la strada tracciata da Thomas Hampson prima e da Bo Schovus poi nell'allargamento del repertorio da Mozart e Britten verso i pesi massimi dell'800.
Hampson in questo senso è stato un apri-pista, il modello di tutti questi baritoni chic, intellettualizzanti, chiari e leggeri che oggi spopolano nei teatri del mondo. Che Hampson avesse iniziato la sua avventura verdiana con Germont era abbastanza naturale (da sempre terreno anche per mozartiani). Il colpo di coda, quello che ha cominciato a cambiare le prospettive, è stata la conquista del Marchese di Posa (con Pappano e Bondy), con cui - appoggiandosi ai ricordi "para-mozartiani" di Fischer-Dieskau e di Waechter - Hampson ha sottratto il personaggio ai baritononi drammatici della precedente tradizione. Da allora, si tende a vedere in Posa soprattutto la fragilità di amico e sognatore, l'ingenuo idealismo che fa battere il cuore alle ragazze per il suo candore anti-eroico e il lato "femminile" della sua tristezza! E' tramontato l'eroe scultoreo e perentorio a cui eravamo abituati: siamo agli anni luce da Cappuccilli!
Non contando operazioni isolate come Amonasro, Luna e Renato, l'altro passo determinante di questo cammino è stato il Macbeth, ruolo che Hampson ha conquistato in un'operazione-shock (la regia di Pountney) a Zurigo. Un Macbeth fragilino vocalmente (si sapeva), ma anche sensuale, cinematografico, languidamente introverso. Ancora una volta le ragazze hanno sospirato. Rivedere la stessa produzione a Torino con ... Leo Nucci è stata una cosa da morir dal ridere. Ora Hampson (forte dei primi capelli grigi) ha conquistato persino il Boccanegra, ovviamente valorizzando tutte quelle fragilità da padre-amico, da amante infelice, da politico ..."liberal" che i grandi Simoni di una volta (autorevoli, maturi, paterni, sontuosi) non avevano.
Gli eredi di Hampson si sono fatti coraggio e gli sono andati dietro. Schovus, ad esempio, si è buttato nel Marchese di Posa a Vienna. Ora anche keenlyside ci è arrivato. Siamo arrivati al punto che non potremmo più pensare a un Posa che non sia un giovanotto atletico, di gusto mozartiano, e di colore lirico.
Ma Keenlyside ha intenzione di andare oltre. E' già programmato un suo Macbeth a Vienna nel 2011.
Ma quel che più colpisce è un altro debutto, previsto a Cardiff nel 2010. E' per la prima volta, sarebbe anticipato il maestro Hampson. Si tratta di ...Rigoletto.
E sarebbe la prima volta che uno dei baritonini mozartian-britteniani di questa generazione vi si cimenta. Che ne dite? Interessante no? Io sto quasi pensando di farci un saltino col Wanderer Club.
E io mi prenoto. Tra l'altro, forse sarebbe il caso di fare una riflessione serena proprio sui grandi ruoli baritonali e sul modo in cui oggi vengono interpretati.
E' veramente un ostacolo l'emissione chiara, aperta, languida, priva di ogni violenza trucibalda? E' veramente un peccato la rinuncia ai ruggiti in stile ruffesco? Secondo me sarebbe quasi un ritorno al passato, almeno ad ascoltare Tagliabue. E se ascolto Schlusnus o Metternich, devo concludere che extra-Italia l'emissione chiara, aperta e forbita era la regola, senza per questo perdere in caratura drammatica
"Dopo morto, tornerò sulla terra come portiere di bordello e non farò entrare nessuno di voi!" (Arturo Toscanini, ai musicisti della NBC Orchestra)
Nell'altro thread ne ho parlato in termini tutt'altro che lusinghieri, però se non sbaglio "intuisco" che per voi non è così...Ribadisco che io trovo abbia fatto un Don Giovanni poco entusiasmante...forse sarò in errore, forse sarò anche troppo cattivo con lui, forse non tengo presente (se non erro) che questa è stata la sua prima incisione di rilievo...
«Fortunato l’uom che prende / ogni cosa pel buon verso, / e tra i casi e le vicende / da ragion guidar si fa»
gustav ha scritto:Nell'altro thread ne ho parlato in termini tutt'altro che lusinghieri, però se non sbaglio "intuisco" che per voi non è così...Ribadisco che io trovo abbia fatto un Don Giovanni poco entusiasmante...forse sarò in errore, forse sarò anche troppo cattivo con lui, forse non tengo presente (se non erro) che questa è stata la sua prima incisione di rilievo...
Io invece sono d'accordo con te. Il suo Don Giovanni è un po' troppo "piccolo" rispetto al ruolo, alla personalità che dovrebbe avere (o almeno che noi oggi pretendiamo che abbia). Ho qualche perplessità, in rapporto alla tua recensione, sugli elogi che hai rivolto a Terfel! Terfel è uno dei più grandi cantanti di tutti i tempi, ma Leporello (così come Figaro o lo stesso Don Giovanni) sono ruoli che esulano dal suo mondo, secondo me. E' eccessivo, pedante, piratesco: sarà un mostro di personalità (al contrario del Dongio di Keenlyside) ma temo che manchi un poco di sottigliezza intellettuale per questo repertorio.
E' vero Terfel non ha brillato come Don Giovanni...E dire che sulla carta il cast di quell'incisione poteva essere davvero scoppiettante!!!...con la mente rivolta anche a Petrusi che personalmente ho apprezzato molto di più come Don Alfonso sempre con Solti nel così fan tutte...
(Anzi poco tempo addietro sono andato a teatro a vedere l'Oberto soprattutto perchè c'era Petrusi, e forse quell'incisione ha fatto il suo per spingermi ad andare)...
«Fortunato l’uom che prende / ogni cosa pel buon verso, / e tra i casi e le vicende / da ragion guidar si fa»
gustav ha scritto:P.s.Cosa pensi del Don Giovanni di Keennlyside? Ti è piaciuto?
Si tantissimo. Credo di aver già scritto altrove che per me resta l’interprete che forse è andato più vicino al mio ideale per quel personaggio. Per me Don Giovanni non ha nulla di affermativo, di vitalistico, di volitivo. È il libertino che rode dall’interno, senza farsi notare, i resti di una società già agonizzante, che ne spreme gli ultimi succhi e ne accelera la fine. In questo, l’impostazione di Keenlyside mi convince moltissimo: tutta sottovoce, ironica e minacciosa, disincantata, che osserva gli altri personaggi con la curiosità di un entomologo alle prese con gli ultimi movimenti di una razza di insetti in via d’estinzione. Però è questione appunto di punti di vista: se altri ha una diversa visione del personaggio, capisco benissimo che la sua lettura possa risultare riduttiva e sottotono. A me sembra una precisa scelta, ma forse sbaglio.
La modestia complessiva dello spettacolo non credo giustifichi l’apertura di un thread apposito, ma un paio di parole il primo Rigoletto di Keenlyside credo le meriti (per quanto un po’ in ritardo…). È artista che personalmente (credo si sia capito) ammiro moltissimo: sarà che in generale mi intrigano gli artisti che costruiscono i loro personaggi togliendo, nascondendo, dissimulando anziché esibendo ed esternando (e il giorno che affronterà Jago mi muoverò per qualsiasi destinazione), ma quel suo costante riserbo espressivo che improvvisamente si apre lasciando erompere schegge incontenibili di idealismo (Billy Budd), follia (Wozzeck), disillusione (Posa) e quant’altro, lo trovo di modernità e originalità assoluta. Oltretutto, mi piacciono gli artisti seri, e credo di non aver mai sentito Keenlyside affrontare qualcosa con superficialità e pressapochismo. Proprio per questo il suo Rigoletto mi ha lasciato un po’ perplesso.
Ora, è vero che sembrava evidente lo sforzo di lottare contro un contesto che sembrava frenare e impigliare più che aiutare e sollecitare, con una regia che era esempio evidente di come non basti un’ambientazione contemporanea per risolvere qualsiasi problema, una direzione soporifera e squinternata, colleghi di bassa routine ecc., ma anche il protagonista dimostrava diverse incertezze: a parte diversi pasticci col testo, ma poi il ricorrere a tutti i più biechi mezzucci di tradizione non è da lui (acuti a perdifiato, puntature, inclusa quella, orrenda, al la bemolle sul finale, che ormai persino Nucci fa solo quando viene a Parma…, e con la differenza che Nucci in questa “tradizione” ci sguazza, mentre Keenlyside no): come se, sentendosi incerto sui fondamentali, volesse essere certo di portare a casa la serata con questi trucchetti.
Ma a parte questi problemi contingenti, mi è rimasto il dubbio che forse la scrittura di Rigoletto non si confà completamente ad un’emissione come quella di Keenlyside: si notava un discreto sforzo (non tanto vocale, quanto di fraseggio, come se non sapesse bene come gestirle) nel reggere le lunghe frasi legate di alta tessitura tipo “Veglia o donna”, o la scrittura frastagliata del “Si vendetta”.
Sia ben chiaro, si è trattato di una grandissima prova, con alcuni momenti magnifici, primo fra tutti il duetto finale con Gilda: uno di quei momenti, di cui parlavo prima, che sono solo suoi, quando la scorza del personaggio si rompe e ne esce un momento di emozione incontenibile. Fra l’altro, sia merito suo o del regista, è anche stato un momento scenicamente bellissimo, con Rigoletto che evita di stare per 15 minuti accasciato di fianco al sacco, ma che a un certo punto (cantando) solleva il corpo già quasi esanime di Gilda e lo stringe al petto portandolo in giro come quello di una bambola. È che questa poteva essere l’occasione per vedere se in Rigoletto (e ruoli verdiani di quel tipo) una vocalità come quella di Keenlyside poteva imporsi come una nuova via (in fin dei conti nessun baritono di quel tipo ci ha mai provato). Per il momento, non mi sento di sciogliere la riserva: occorrerà forse aspettare una prova d’appello. In fin dei conti, forse anche Terfel sarebbe uscito malconcio se avesse dovuto debuttare Sachs in uno spettacolo da bassa provincia anziché in un capolavoro…
beckmesser ha scritto: mi è rimasto il dubbio che forse la scrittura di Rigoletto non si confà completamente ad un’emissione come quella di Keenlyside: si notava un discreto sforzo (non tanto vocale, quanto di fraseggio, come se non sapesse bene come gestirle) nel reggere le lunghe frasi legate di alta tessitura tipo “Veglia o donna”, o la scrittura frastagliata del “Si vendetta”.
Hai ragione. Però ricorda che si è trattato di un debutto. Sono convinto che un artista della sua levatura saprà mettere a regime il personaggio. Ti dirò, io non ho sentito dei problemi particolari nelle alte tessiture, anzi, le frasi che tu incrimini a me sono sembrate di una fascino quasi vocalistico unite ad acuti timbrati e, in quanto a volume, belli tosti. Alla faccia di chi, alla vigilia della mia partenza, mi ha detto: "Vai pure fino a Cardiff a sentire il Rigoletto di Keenlyside. Per l'amor di dio, un grande artista, ma non ha le note di Rigoletto e per cantare Rigoletto ci vogliono LE NOTE, LE NO-TE, LE NO-TE!" Il "veglia o donna" mi apparso un po' incolore, o forse mi aspettavo da lui chissà quali meraviglie e quindi le aspettative eccessive sono state un po' deluse. Per il resto ho trovato il suo Rigoletto entusiasmante. La scena coi cortigiani è stata strepitosa soprattutto nell'evitare tutte le trappole gigione che si porta dietro. Il "si vendetta"... è vero, nella recita in cui c'eravamo io e Mat ci sono stati diversi sbandamenti ritmici, ma dividiamo la colpa con il bombardone sul podio. Le papere (più che altro vuoti di memoria) ci sono state all'inizio dell'opera. Insomma, era un debutto. Nel complesso però un Rigoletto notevole, quando non notevolissimo. WSM
Mae West: We're intellectual opposites. Ivan: What do you mean? Mae West: I'm intellectual and you are the opposite.
Complimenti Beck, una recensione che condivido parola per parola avendo visto lo spettacolo. Anche se alla fine mi pare che l'originalità storica di Keenlyside (il primo baritono colorista ad osare Rigoletto dai tempi di Fischer Dieskau, battendo lo stesso Hampson) non possa essere sottovalutata. Il suo Rigoletto ha per me un rilievo straordinario e indica con perentorietà una strada da seguire per il futuro.
E tuttavia (anche se i momenti sublimi di questo Rigoletto sono stati percentualmente di più di quelli modesti) mi trovo costretto a sottoscrivere le tue perplessità. E' vero infatti che il cammino del baritono inglese nella "trilogia Varesi" (Germont, Macbeth, Rigoletto) non ha dato proprio tutte le soddisfazioni che ci sarebbe aspettati ed è vero che, in mezzo alle gemme, vi sono state anche sue cadute, tanto più irritanti perché evitabilissime. In Rigoletto, come in Macbeth (ma anche nella Provenza) il baritono pare talvolta insicuro - lui per primo - dell'efficienza della sua vocalità. E questo è sciocco da parte sua, perché è evidente che quella parte di pubblico che ripone fiducia nel suo Verdi (ritenendo che i "baritoni verdiani tradizionali" abbiano esaurito la loro stagione), quello stesso pubblico - dicevo - che apprezza i dischi di Fischer Dieskau e i recenti approdi di Hampson e Skovhus... insegue i Varesi di Keenlyside proprio perché vuole sentire qualcosa di diverso, che solo con la sua tecnica coloristica può darci. Se volessimo ancora un Rigoletto o un Macbeth alla Nucci, non andremmo fino a Vienna o Londra o Cardiff per sentire Keenlyside, il quale NON PUO' cantare come Nucci. E quando ci prova (specie nelle grandi arie e nei monologhi, i punti che più lo atterriscono e dove lui tenta di spingere e gonfiare le note) il risultato è pessimo: rimane a corto di fiato, perde il controllo della linea, finisce per stonare sugli acuti.
Personalmente sono di quelli che caldeggiano l'ipotesi del "colorismo" nei baritoni verdiani - ipotesi che peraltro è ormai più che un'ipotesi, visti i trionfi nel mondo di gente come Hampson e lo stesso Keenlyside; appunto per questo condivido il disappunto di non sentirlo (in alcune pagine) osare le vere prerogative del suo canto (i colori, le sfumature, la fragilità, l'esaltazione della parola, la mancanza di sontuosità piedistallosa) che in altri punti erompono improvvisamente con geniale intensità.
Prendendo spunto dalla trilogia Varesi di Keenlyside (e ovviamente rifacendosi ai casi di Fischer Dieskau, di Hampson e Schovus) mi piacerebbe che tentassimo una specie di storia del baritono verdiano "colorista", delle differenze rispetto alla tradizione novecentesca e delle possibilità di rappresentare una valida alternativa ad esse. L'argomento è aperto e molto, molto interessante.
A questo proposito, potremmo iniziare con un piccolo omaggio. Non è un ruolo Varesi, ma è comunque finora la più divulgata e celebrata interpretazione verdiana di Keenlyside (che se ben ricordo tu sentisti dal vivo a Londra). Eccovi la morte di Posa.
Ho sentito alcuni anni fa Keenlyside in Don Carlo a Vienna. Devo confessare che ne rimasi molto deluso...mancava tutta quella nobiltà d'accento, quell'ampiezza vocale che prescinde dal colore della singola vocale e dallo scatto delle consonanti, insomma quel dominio delle lunghe arcate vocali che secondo me sono indispensabili per questo ruolo.
Il colorismo che invochi funziona davvero nei ruoli Varesi, così come appunto già Fischer-Dieskau ci dimostrò, ma qui nel francesizzante Don Carlo ne ho sinceramente qualche dubbio. Se non ricordo male nemmeno Fischer-Dieskau è particolarmente esaltante nel disco di Solti, no?
Vi convince davvero questo Posa? A me sembra molto "piedistalloso"
Ich habe eine italienische Technik von meiner Mutter bekommen. Astrid Varnay
Non avevo notato questo post di Ric. Pure fuori tempo massimo, vorrei riaprire il discorso.
Riccardo ha scritto:Ho sentito alcuni anni fa Keenlyside in Don Carlo a Vienna. Devo confessare che ne rimasi molto deluso...mancava tutta quella nobiltà d'accento, quell'ampiezza vocale che prescinde dal colore della singola vocale e dallo scatto delle consonanti, insomma quel dominio delle lunghe arcate vocali che secondo me sono indispensabili per questo ruolo.
Per certi versi, non mi sorprende questa tua perplessità (anche se un altro raffinatissimo confratello del forum, Beckmesser, aveva tratto a Londra dallo stesso personaggio impressioni radicalmente diverse).
Possiamo girarla finché vogliamo, ma un Verdi intaccato nella linearità melodica, povero sul fronte del fraseggio musicale, è talmente sorprendente (e per certi versi lontano dalla scrittura verdiana) che autorizza le più varie e diffuse perplessità. Io difendo il Verdi di Keenlyside e in generale dei baritoni coloristi, ma è una mia personalissima scelta, un mio gusto, che non mi spingerei a difendere in via "assoluta" in quanto so benissimo che non è per quel tipo di canto che la musica è stata scritta. So, ammetto, che è una forzatura, ma a cui io sono disposto a cedere. E questo perché non ne posso assolutamente più dei baritoni verdiani tradizionali: vocalisti o declamatori che siano, hanno fatto il loro tempo: hanno esaurito la loro forza d'urto. Un altro Bruson, un altro Nucci e rinuncerò per sempre a sentire un Rigoletto! Sono stanco di quel vetusto pontificare, di quel fare a pezzi tradire (in pose "aristocratiche" o slanci belluini, non cambia molto) l'umanità, la vulnerabilità di questi anti-eroi sofferenti e blasfemi, la loro disperazione più vera e più sincera di qualsiasi iperbole tenorile.
I baritoni coloristi ci hanno rivelato sfondi e spaccati nuovi, diversi, che personalmente amo di più. Anche se so di dover rinunciare a tanto.
La loro "verità" non va cercata nella linea melodica (che non sono in grado di reggere), nè nella pienezza sonora, bensì nello scavo illuminante del concetto verbale; in Keenlyside e in Hampson, molto più che in Fischer Dieskau, la melodia si frange e si frantuma tra sentimenti contrastanti (“pura siccome un angelo”), o nei tremori dell’ira (“questa è la pace che voi date al mondo”), o nei vortici della paura che sale dagli abissi della disperazione (“Fatal mia donna”) o, come in questo caso, quando il suono rabbrividisce nel sospiro di malinconie ansiose (“Carlo ch’è sol”). Il tutto con suoni che (per sgradevoli che siano) urlano la loro umanità. E’ nella pregnanza poetica di queste fulminee e contraddittorie illuminazioni sonore (e nella corrispondente intensità scenica) che va ricercato il senso del Verdi di Keenlyside, la sua forza innovativa e struggente, a costo (lo so benissimo) di dire addio ai fraseggi elaborati, lineari, sontuosi e all’esuberanza degli armonici. E’ in questi scintillii di parole, accensioni di vocali, sprezzature dell’anima che il canto verdiano si rigenera in mille colori e apporta alle singole frasi il peso poetico di un’aria: siamo onesti! In frasi come “sospetti di me?” oppure “la vita sento nelle mie fibre inaridita” Keenlyside rivela squarci di umanità del tutto preclusi al vocalismo tradizionale, così come al declamato classico. Il suono pieno, tradizionale, “vocalistico” (o anche quello declamatorio della linea Bechi-Gobbi) impedirebbe, per sua stessa natura tecnica, un tale lavorio sull'atomo sonoro e sul suo potenziale emozionale. Se si vuole camminare per questa via, occorre rinunciare a tutto il resto. E’ una rinuncia che, ripeto, compete al gusto personale.
Il colorismo che invochi funziona davvero nei ruoli Varesi, così come appunto già Fischer-Dieskau ci dimostrò, ma qui nel francesizzante Don Carlo ne ho sinceramente qualche dubbio. Se non ricordo male nemmeno Fischer-Dieskau è particolarmente esaltante nel disco di Solti, no?
Sono d'accordo con te che i ruoli Varesi si possano prestare lievemente di più. Ma solo lievemente. Anche in essi, infatti, la mancanza di linearità, di omogeneità, di varietà di fraseggio può essere giudicata molto male da una grande percentuale di ascoltatori. Il fatto che un vero ammiratore di Keenlyside come Beck sia a sua volta rimasto un po' freddo per il suo Rigoletto dovrebbe farci riflettere... Personalmente credo che se non si accetta questo tipo di soluzione (che peraltro IMPONE teatri e spazi piccoli: forse l'enormità della Staatsoper di Vienna o del WMC di Cardiff non erano gli ambienti giusti), non lo si accetterà nè in Don Carlo, nè in Macbeth.
Credo che questo brano del Macbeth possa aiutarci a sviscerare meglio il rapporto fra Keenlyisde e Verdi (e in particolare coi ruoli Varesi).
Ritroverete in questo brano quell'ossessione un po' sciocca - denunciata da Beck - di gonfiare le gote per sembrare un po' più "verdiano" (e l'immediata conseguenza di un'intonazione alquanto dubbia, proprio all'inizio del cantabile). Poi però (e già nel recitativo) quell'esaltazione coloristica della parola finisce per agire sull'ascoltatore e condizionarne le emozioni. Dopo un po' (almeno, questo vale per me) non si fa più caso alla linea spezzata e franta, alla legnosità diffusa, al modesto vocalismo, e si finisce per concentrare l'ascolto sul potere nuovo e misterioso delle "parole", come se queste prendessero a insinuarsi nella nostra testa ("fiore", "sasso", "bestemmia", "lasso") con un capacità di penetrazione che normalmente i baritoni verdiani non hanno. E il senso di fragilità calda, giovane, umana e lacerata che quelle parole comunicano si fa un po' alla volta sostanza emozionale. Io almeno mi lascio coinvolgere moltissimo da tutto ciò che questo canto (ben poco "verdiano") riesce a svelarmi.
Se ricordi abbiamo già discusso proprio quest'aria nel confronto Hampson/Warren e sai che trovo plausibili entrambe le esecuzioni. Forse perchè io traggo il primario piacere dal semplice ascolto dell'opera, piacere che ovviamente viene esaltato dall'esaltazione dei suoi contenuti. Non saprei dire l'effetto che avrei provato in teatro ma il semplice ascolto registrato non mi ha particolarmente esaltato. Trovo interessante il recitativo ma l'effetto si perde lentamente nel resto della romanza. A differenza di Hampson, coinvolgente sempre, Keenlyside si perde strada facendo. Forse la linea di canto, anche per il tempo scelto, diventa troppo discontinua e crea un effetto vicino al parlato che mi disturba, forse il tentativo di irrobustire la voce (ma conosco troppo poco il cantante per giudicare bene) non lo aiuta. Penso che in queste opere, se si vuole uscire dalla tradizione, occorra ricercare un difficile equilibrio fra il colorismo e vocalismo che non snaturi troppo la linea melodica. Macbeth, a differenza di altri titoli verdiani, trovo che offra molte opportunità al cantante che non vuol seguire la tradizione. La struttura musicale dell'opera e la drammaturgia dei personaggi è ricca di spunti che, probabilmente, l'interprete colorista, sempre che sappia mediare, può sottolineare in maniera significativa. Roberto
Trovo interessante il recitativo ma l'effetto si perde lentamente nel resto della romanza. A differenza di Hampson, coinvolgente sempre, Keenlyside si perde strada facendo. Forse la linea di canto, anche per il tempo scelto, diventa troppo discontinua e crea un effetto vicino al parlato che mi disturba, forse il tentativo di irrobustire la voce (ma conosco troppo poco il cantante per giudicare bene) non lo aiuta.
Be' si! Hai ragione. Anche se bisognerebbe aggiungere che Hampson era avvantaggiato dalla registrazione "ufficiale" (per quanto dal vivo, è poi stato sottoposto alle correzioni dei tecnici, in vista della pubblicazione; mentre Keenlyside è qui ritratto da una ripresa privata, colta direttamente a teatro). In tutta sincerità, anche Hampson lasciò i soci del mio club un po' perplessi, quando andarono a sentirlo dal vivo in Macbeth al covent Garden. In quell'occasione non c'era... quindi riferisco soltanto. Io dal vivo ho sentito Hampson (per quanto riguarda il repertorio verdiano) solo in Traviata e Ballo in Maschera; fra poco anche nei Masnadieri. E sinceramente mi ha sempre comunicato quello stesso senso di discontinuità (per usare la tua espressione) e di "parlato" che giustamente hai lamentato in Keenlyside. Credo che sia una caratteristica presente in entrambi e un po' connaturata alle particolarità della loro emissione.
Torando all'inglese e al suo Macbeth qui postato devo convenire che - seppure alla fine lo salverei - questo ascolto presenta tante, obbiettive ragioni di perplessità, da te perfettamente messe in evidenza. L'unica cosa è che io, oltre che il recitativo, riscatterei un poco la seconda strofa dell'aria... la parte veramente critica mi pare soprattutto la prima, dove mi riconosco in pieno nella tua sensazione di "smarrimento".
Penso che in queste opere, se si vuole uscire dalla tradizione, occorra ricercare un difficile equilibrio fra il colorismo e vocalismo che non snaturi troppo la linea melodica.
Penso che tu abbia perfettamente ragione. Diciamo che, almeno sul momento, non mi vengono in mente baritoni che vi siano riusciti. E tuttavia - poiché altre categorie vocali hanno dimostrato che la fusione di vocalismo antico e colorismo moderno è possibile (un esempio per tutti: la Bartoli) - nulla osta che prima o poi possano emergere anche baritoni con queste caratteristiche.
Macbeth, a differenza di altri titoli verdiani, trovo che offra molte opportunità al cantante che non vuol seguire la tradizione. La struttura musicale dell'opera e la drammaturgia dei personaggi è ricca di spunti che, probabilmente, l'interprete colorista, sempre che sappia mediare, può sottolineare in maniera significativa.
Infatti. E io allargherei il discorso anche agli altri ruoli "Varesi": Rigoletto e Germont. Certo siamo ancora all'alba di una simile rivoluzione! Abbiamo ancora modo di vedere, passo dopo passo, se questa alternativa decollerà e con quali compromessi.
MatMarazzi ha scritto:E questo perché non ne posso assolutamente più dei baritoni verdiani tradizionali: vocalisti o declamatori che siano, hanno fatto il loro tempo: hanno esaurito la loro forza d'urto. Un altro Bruson, un altro Nucci e rinuncerò per sempre a sentire un Rigoletto! Sono stanco di quel vetusto pontificare, di quel fare a pezzi tradire (in pose "aristocratiche" o slanci belluini, non cambia molto) l'umanità, la vulnerabilità di questi anti-eroi sofferenti e blasfemi, la loro disperazione più vera e più sincera di qualsiasi iperbole tenorile.
Tutta questa roba non la posso sopportare nemmeno più io...davvero. E infatti non ascolto praticamente mai Rigoletto Macbeth Traviata...
Il problema è che non so se trovo in Keenlyside una vera alternativa convincente. O forse non amo abbastanza il Verdi di mezzo per poterne subire il fascino innovativo. Ho come l'impressione che queste parti, anche quelle Varesi, non siano poi così scritte per concedere tutto questo lavorio che prescinde dal puro melodismo... Tutto il bene che trovi tu in Keenlyside alle mie orecchie si scontra poi con una continua insofferenza per la linea melodica, con momenti di imbarazzo nelle corone, nella retorica insistente delle armonie cadenzali...
Comunque aspetto di provare un teatro più piccolo. A Vienna ero pure arrampicato in alto, dove le intenzioni del povero Keenlyside erano divorate dalle "finezze" di Cura e della D'Intino.
Salutoni Ric
Ich habe eine italienische Technik von meiner Mutter bekommen. Astrid Varnay
Per primo rinnovo il mio angosciato appello affinchè qualcuno mi spieghi come fare ad evidenziare singole parti di un intervento senza quotarlo in toto, cosa che vedo sapete fare in molti ma che io non riesco a fare mai.
Veniamo al nostro baritono. In realtà i suoni di Hampson non vengono particolarmente risollevati dall'editing e le mie lodi sono riferite solamente all'incisività del fraseggio che si mantiene costante per tutta l'aria. Ambedue mancano sul piano sonoro. Forse il tempo differente rende più fluida l'esecuzione di Hampson che, comunque, mi è parso decisamente superiore. In proiezione futura trovo interessante esplorare ruoli quali Rigoletto, Doge dei Foscari, Carlo dell'Ernani mentre non penso possa nascondere niente di interessante il personaggio di Germont, un monolito troppo convenzionale nei suoi sentimenti per trovarvi qualcosa di particolare da dire ed infatti ho trovato quanto mai fuori ruolo e sprecato Hampson alle prese con il personaggio. Se non ricordo male le sue movenze e qualcosa del suo canto mi risultarono troppo "americane", troppo "alla Milnes". Roberto