Tucidide ha scritto:ma se di punto in bianco mi poni sul banco l'importanza di di "rispettare" accenti e pulsazioni della musica, io prendo lo spartito, e ti dico che la von Stade è piattissima proprio a livello musicale.
Acc... Tucidide.
Non sei tu il tipo da confondere la validità musicale di un'esecuzione con l'analisi dei segnetti agogici contenuti su uno spartito. I quali segnetti agogici (posto ma non concesso che debbano essere rigorosissimamente seguiti, nel qual caso nulla giustificherebbe gli spappolamenti ritmici della Fleming) non sono che una rudimentale intelaiatura, un ambito in cui il compositore tenta di dare suggerimenti all'interprete invadendo il di lui campo.
Non mi lascerò trascinare nel giochetto di cofrontare tutti i "p" e le forcelle nelle varie esecuzioni di questo brano, perchè è un procedimento inutile e fuorviante.
Il valore musicale di un'esecuzione lo si avverte in un solo modo: all'ascolto.
Anche se non possediamo lo spartito di un brano (cosa che vale per il 99% dei nostri ascolti) siamo ugualmente capaci di distinguere il dominio e le risorse musicali di un interprete, l'efficacia del suo fraseggio, l'evidenza della sua esecuzione.
Questo perché se una melodia trova in un'esecuzione la sua "tensione interna" non è per l'osservanza dei "p" e delle "forcelle" ma per la capacità dell'esecutore di tenerne in pugno lo svolgersi, di dominarne il senso, di andare (come diceva la Callas) dentro i suoni.
Che la Von Stade e Ozawa sappiamo valorizzare questo canto struggente, sappiano conferirgli quella "tensione" che lo rende così emozionante è una cosa che si può capire semplicemente ascoltando il brano e non andando ad incollarsi alle forcelle dello spartito.
Ho poi già detto (temo un po' il rischio di ripetermi) che non è sulla dinamica che la Von Stade costruisce la sua dialettica.
Sulla mimica, non so che dirti. Queste sono opinioni, temo... Di certo, ho trovato la von Stade ben più interessante a livello scenico e mimico nel Gala del Met del 96 quando canta "Ah quel diner". Lì è strepitosa, né più né meno.
E' strepitosa anche qui, credimi.
Non c'è un millimetrico movimento d'occhi che non sia funzionale a un discorso.
Certo... non "sbraca", ed è strepitosa proprio per questo.
Io mi chiedo quante persone, vedendo questo video, possano affermare che la sua mimica è modesta.
Francamente non so quanti cantanti d'opera possano vantarne una simile.
Sai... Io non amo Corelli, ma se mi mettessi ad affermare che - purtroppo per lui - non aveva gli acuti e la voce era poco potente, incorrerei nel rischio del ridicolo.
Il fatto è che non puoi negare che si tratti di un fraseggio ricco e sovraccarico.
L'assecondare manierismi e l'appesantire gli effetti non è un'opera di ricercatezza.
L'ex prete del mio paese era ossessionato dalle anafore.
Le sue omelie erano stremanti in questo senso: "Voi pensate che... Voi pensate che... Voi pensate che..."
"E allora io vi rispondo che.. E allora io vi rispondo che... E allora io vi rispondo che...
Ma Dio è qua per.... Ma Dio è qua per... Ma Dio è qua per..."
Usare "male" gli strumenti della retorica porta alla pessima arte e alla pessima ...omelia.
Uno abusa di quegli effetti solo in un caso: quando gli servono per mascherare la propria scarsa ispirazione.
E soprattutto non è nell'accumulo di effetti retorici che si vede il buon retore.
Tutti siamo capaci di usare iperbati e omoteleuti: non ci vuole assolutamente nulla.
Eppure non tutti siamo dei Marino e men che meno degli Ungaretti o dei Leopardi (che gli strumenti della poetica e della retorica sapevano usarli a loro volta).
puoi dire quello che vuoi, ma smorzature, portamenti, accenti, rallentandi sono strumenti retorici del fraseggio.
Certo, come le anafore dell'ex-prete di Tresigallo.
Se ne dovessi fare l'analisi "retorica", sarebbe piena di spunti.
Non credo proprio: come non sarebbe affatto ricca di spunti l'analisi retorica delle omelie dell'ex-prete di Tresigallo.
Quando parlo di fraseggio ricco e ricercato, non intendo dire necessariamente che sia un fraseggio coinvolgente ed interessante, così come non sono le figure retoriche a profusione a rendere interessante una poesia. Ma resta il fatto che le figure retoriche, e così le soluzioni di fraseggio, sono oggettivamente analizzabili.
Concordo... ma tu hai parlato di "ricercatezza".
E' solo questo che contestavo: l'abuso di strumenti retorici non implica affatto una ricerca, anzi esattamente il contrario, per me. Ossia il nascondersi dietro una maniera, per evitare di far troppa "ricerca" sulle ragioni teatrali e musicali di un personaggio.
Comunque su questo punto, non voglio stressarti più!
Sono chiare le rispettive posizioni.
Mi interessa di più il discorso dell'attinenza del canto alla Luna della Fleming nel contesto registico di Carsen.
Rusalka è una tragedia. Bene fa la Fleming a connotare ingenuamente e svolazzantemente l'ondina all'inizio dell'opera. Così risulta più forte lo iato fra il primo atto ed il terzo, dove invece Rusalka è donna, disperata e tradita. Se Rusalka è già triste all'inizio, che sviluppo c'è?
Sicuro che parliamo dello stesso spettacolo? Quello di Carsen alla Bastille?
Sembra che tu abbia visto un'altra cosa...
In quello spettacolo Rusalka non era affatto "triste" al terzo atto e svolazzante al primo: è esattamente il contrario.
Quell'allestimento presentava il grande percorso iniziatico della ragazza giunta alla prima notte di nozze, nell'attimo del passaggio definitivo, esistenziale dallo stadio di bambina a quello di donna (attraverso l'accettazione del sesso e la perdita della verginità).
Rusalka è quindi una ragazza infelicissima all'inizio - perché non ancora disposta a uscire dal bozzolo e accettare la rinuncia al mondo delle favole, timorosa di quanto di violento e sporco è insito nel sesso, soverchiata dall'immagine della madre (strega e rivale); alla fine invece è una donna vera, felicissima, perché ha accettato finalmente il passaggio: chiude la porta sul suo passato, sulla voce dei sogni e delle favole, e diventa la donna del suo uomo.
Quindi il percorso, lo "iato" è esattamente opposto a quello che tu hai ravvisato (stupida e svolazzante all'inizio e triste, tragica alla fine): all'inizio è tragica e triste perchè non ha la forza di accettare il cambiamento che pure desidera, alla fine è felice, cresciuta e realizzata.
Inoltre non mi pare affatto che la Fleming nel canto alla Luna, con quel birignao e quella retorica da divona operistica, possa evocare (come a te) l'immagine di una ragazza svolazzante e leggiadra; anzi, proprio il tono "matronale" che quegli effettoni producono, stride dolorosamente con l'immagine del "bozzolo" che ancora Rusalka dovrebbe essere a quello stadio dell'opera (per lo meno nell'allestimento di Carsen).
Il difficile rapporto con Conlon (che alla fine fatica a starle dietro) testimonia che l'effetto era semplicemente imposto dalla Fleming, in totale autonomia rispetto allo spettacolo: qualcosa mi dice infatti che, escludendo il concerto di Amsterdam, tutte le altre esecuzioni della Fleming, anche precedenti la produzione di Parigi, presentino lo stesso effetto "fisarmonica"...
Ma qui sei tu che puoi illuminarci!
Ma come comunichi l'instabilità, la mancanza di senso della realtà, lo smarrimento in un mondo che si sta facendo troppo ed impietosamente difficile?
Bella domanda!
Non certo con un accumulo di figure retoriche.
Anche lo scrittore più inesperto di psicologia sa che, se deve far parlare un'adolescente, userà la trasparenza, la semplicità, l'evidenza ingenua dell'eloquio, non un mare di effettoni retorici, sensualoni e porconi...
come i portamentoni, i rallentamentoni, i pianissimoni...
Tutto questo fa molto "donna esperta e sensuale" che di questi effettoni "porconi" ha sempre più bisogno per sembrare sexy.
A una ragazzina infelice che piange solitaria alla luna è sufficiente l'acqua e il sapone: e, nella fattispecie, un canto diretto, vibrante, sincero, pulsante (nella tensione ritmica) e spoglio di ogni retorica e sbrodolamento.
Almeno per me!
Salutoni e buona domenica pure a te!
Mat