Natalie Dessay

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Messaggioda teo.emme » mar 25 set 2007, 18:54

Dissento profondamente sul fatto che si tratti di due modi di intendere il belcanto. L'uno che valorizzerebbe il dramma (taccio sull'opportunità di confrontare Callas e Dessay) e l'altro che si limiterebbe al canto e alla correttezza. Nulla di più falso!!!!!

Il problema qui, non è l'interpretazione del testo: il problema è l'esecuzione, e questa ha solo due modi di essere, corretta o scorretta.

La Dessay, NEL BELCANTO (lo sottolineo perchè non vorrei essere travisato e perchè vorrei circoscrivere le mie osservazioni a questo stile, senza suscitare paragoni con esecuzioni di Strauss o Delibes), almeno nelle sue più recenti performance - si veda l'orrida Lucia del Met - è molto scorretta. Le prove sono documentali: i gravi vengono parlati, spesso e volentieri si lancia in urla grottesche (per esteriorizzare una "pazzia" che sarebbe già tutta scritta nella musica) è sovente stonata e le agilità sono pasticciate (frutto di contorcimenti scenici inopportuni ovviamente, ma che valore può avere un'interpretazione che, per essere apprezzata, deve essere necessariamente "vista"?). Gli acuti sono prossimi allo strillo e al bercio.

Questo non è un altro modo di vedere il belcanto, non è il riproporsi della "rivalità" Callas/Tebaldi (troppa grazia sarebbe), non sono due approcci che si scontrano. La Callas - che enfatizzava il carattere drammatico del testo, e "viveva" il personaggio, cantava la parte in maniera perfetta, in perfetta aderenza con le indicazioni d'autore, e cioè non strillava un urlo belluino prima della cabaletta nella scena della pazzia (come ieri la Dessay), non si metteva a rantolare in terra e neppure sforava nel volgare parlato, né rideva improvvisamente correndo come una dannata lungo il palco. Non scherziamo, paragonare la Dessay alla Callas è offensivo (e io non sono un callasiano). La Dessay - mi spiace per lei - non può "fregarsene" di ciò che è scritto per "rendere" drammaticamente il personaggio. Vada a cantare Santuzza se vuole esercitarsi in berci e grida bestiali! O impari a rendere la drammaticità dei ruoli senza stuprare la parte.

Così pure scorretto è leggere questa discussione come uno scontro tra sostenitori della Devia e sostenitori della Dessay. No no...per nulla, sono cantanti diverse che dovrebbero affrontare repertori difersi. Ora come ora alla Dessay dovrebbe essere inibito il Belcanto (lo si è sentito ieri, così come nella Sonnambula o nella Fille), faccia altro. Dove riesce infinitamente meglio! La discussione qui è in merito al Belcanto stesso e al riconoscere finalmente, delle regole entro cui restare, al di là delle imposizioni mediatiche. Altrimenti tutto diviene lecito. E non va bene!

Ogni opinione è legittima, per carità, ma quella roba lì, propinataci ieri dalla Dessay, non è Belcanto, non è niente...o meglio sarebbe qualcosa, ma risulterei volgare. :wink:

La Dessay oltre tutto non ha arricchito la parte di nessuna variazione (ed è vergognoso), nulla...poi ha eseguito la cadenza finale senza dialogare con alcuno strumento, a braccio.. E poi fin dall'inizio aveva un atteggiamento da "rimbambita" pareva una bambola, un automa...davvero pareva Olympia!

E sarebbe Belcanto???? Senza la cura del suono e le meraviglie vocali? Ma non vi sembra una contraddizione in termini?

Cerchiamo di chiamare le cose con il loro nome.

Ripeto, sul Belcanto: c'è un SOLO modo di eseguirlo, ed è quello della correttezza vocale e tecnica, poi, all'interno di questo invalicabile confine, si interpreti il personaggio e se ne dia la lettura che più si sente, ora più drammatica ora più astratta ora più eterea etc.... Ma comunque sia non si può prescindere dalla correttezza tecnica. Uno spettacolo d'opera va visto e sentito, ma se per valutarlo occore soprattutto vederlo, allora c'è qualcosa che non va...
teo.emme
 

Messaggioda teo.emme » mar 25 set 2007, 19:02

beckmesser ha scritto: Voglio dire, da quel che si legge, ho il forte sospetto che gente come la Colbran degli anni rossiniani, la Pasta dell’epoca di Norma, la Ronzi o la Malibran (tanto per stare alle donne) fossero cantanti per i quali la capacità di “stare in scena” fosse altrettanto (se non più) importante del semplice canto...


E quindi Rossini, Donizetti e Bellini scrivevano solo per imbrattare fogli? Dal momento che le "loro" interpreti avrebbero privilegiato l'urlo alle agilità e all'emissione corretta? Io credo che al di là di nostre supposizioni, parlino le partiture: queste erano scritte APPOSITAMENTE per quei cantanti, e verosimilmente, contenevano quanto si sarebbe visto e sentito in scena. Credo che Donizetti volesse rendere la pazzia di Lucia come l'ha scritta, con le frasi spezzate, i richiami al duetto con Edgardo... lasciando all'interpreta le variazioni e le cadenze, non attribuendogli il libero uso di grida, l'esecuzione sbagliata di agilità e l'uso del parlato. Non credi? Altrimenti perchè mai avrebbe scritto quel che ha scritto, se nei suoi sogni vi era una Dessay che si lavava i capelli a ritmo del "verranno a te sull'aure" o che piazzava un barrito prima di "spargi di amare lacrime"?
Ultima modifica di teo.emme il mar 25 set 2007, 20:49, modificato 2 volte in totale.
teo.emme
 

Messaggioda MatMarazzi » mar 25 set 2007, 20:18

beckmesser ha scritto:Cos’è il teatro d’opera? È uno spettacolo in cui il canto è un mezzo per raggiungere lo scopo di fare teatro, ossia di raccontare storie, personaggi, emozioni (Callas-Dessay), o uno spettacolo in cui storie, personaggi, emozioni sono mezzi per consentire ad eccelsi cantanti di esprimere le loro capacità (Tebaldi-Devia)? (In verità, il discorso emozioni starebbe nel mezzo, ma non sottilizziamo…) .


Caro Beckmesser,
a parte il fatto che è sempre un piacere leggerti (il ché avviene troppo raramente :), volevo ringraziarti per ciò che hai scritto.
Mi hai preceduto in questa risistemazione che a questo punto si richiedeva.

quello che tu hai scritto e che ho quotato non solo definisce il mio pensiero (che è poca roba), ma - come confermerà Pietro Bagnoli - rappresenta la ragione per cui è nato questo sito e questo forum: potrebbe esserne assunto a manifesto.

Ma oltre alla tesi indiscutibile che L'UNICO FINE DELLE TECNICHE DI CANTO (E SOTTOLINEO IL PLURALE!!!) E' QUELLO DI CREARE SUONI SIGNIFICANTI IN RELAZIONE FRA LORO E DECIFRABILI DAI FRUITORI, vorrei approfittare della tua maili per sottolineare che, nelle nostre intenzioni, volevamo spingere i nostri compagni di avventura al superamento delle semplificazioni, dei luoghi comuni confortevoli e pratici, dei vociologismi elementari che purtroppo albergano nei loggioni italiani, nelle trasmissioni radiofoniche, in molta stampa e devo dire anche su molti siti internet, miserabile eredità di quel grande storico, modesto critico e sciagurato "evangelista" che fu Rodolfo Celletti.

A noi interessava (come a te) il dato "fenomenologico" del canto e dell'interpretazione.
Ecco perché (mi scuserà l'amico Roberto) non posso accettare la distinzione fra "modernità" e "antichità".
La Dessay non è più moderna di quanto fosse Chaliapine, disposto a buttare a mare i suoni ufficiali e a inventarsene diecimila altri pur di "comunicare" nuovi affetti al pubblico.
NOn è più moderna di quanto fosse Amelie Materna, quando fissò le basi (antibelcantistiche) del nuovo declamato wagneriano.
La vera comprensione del ruolo di un interprete d'opera non è nè moderna, nè antica.
Ha ragione Beckmesser: chiunque abbia letto gli echi giornalistici delle battaglia Tebaldi-Callas degli anni '50 avrà ritrovato parola per parola molte delle cose che si sono lette qui in questi giorni.

L'interpretazione operistica (e più in generale il canto) è sempre stato - anticamente come oggi - un complesso di interazioni storiche e culturali fra ciò che gli artisti (immersi nel loro vissuto) hanno da dare e ciò che le società (immerse nei loro movimenti storici e sociali) hanno da prendere.

Un approccio come il nostro non sottovaluta affatto il "dato tecnico" (basta vedere le discussioni sostenute sui cantanti del passato) ma lo intende come covenzione in evoluzione coi tempi, non come fonte di verità metafisica (il danno incalcolabile prodotto dal cellettismo, che convincendo generazioni di neofiti che "si canta così e così" li ha rovinati per sempre).
Se mi passi il paragone in altra disciplina, noi ci siamo posti il problema di capire la Lingua Italiana non da "grammatici" ma da "linguisti", cercando di capirne le evoluzioni, le alterazioni, i cambiamenti nel suo rapporto con la storia di Italia e con la società, nel suo tentativo di adeguarsi (epoca dopo epoca) alle esigenze dei parlanti, agli avvicendamenti cultuali, politici, sociali.
Per il grammatico la vita è più semplice: lui prende le due regoline (studiate alle scuole elementari) e si arrabbia (anzi, in fondo si sente grande, proprio come ...il tuo omonimo Beckmesser) quando non le vede applicate.

Ecco perché, in questo forum, vedi proliferare i thread di argomento storico, con corollario di ipotesi, contro ipotesi, citazioni e documentazioni.
Se tanto ci dedichiamo ai cantanti del passato non è per affermare che De Lucia, o la Matzenauer, o Kipnis, o la Moedl, ...cantassero "bene" o "male", segnando con la matitina rossa e blu le note "avanti" e quelle "indietro".... ma per CAPIRE COME CANTAVANO e COME QUEL TIPO DI CANTO potesse interagire con il loro mondo, rappresentandolo e descrivendocelo in parte.

Ti sei meritato la tessera "onoraria" del forum di Operadisc! :)


Salutoni e Grazie
Mat
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Messaggioda Riccardo » mar 25 set 2007, 22:52

MatMarazzi ha scritto:Se mi passi il paragone in altra disciplina, noi ci siamo posti il problema di capire la Lingua Italiana non da "grammatici" ma da "linguisti", cercando di capirne le evoluzioni, le alterazioni, i cambiamenti nel suo rapporto con la storia di Italia e con la società, nel suo tentativo di adeguarsi (epoca dopo epoca) alle esigenze dei parlanti, agli avvicendamenti cultuali, politici, sociali.
Per il grammatico la vita è più semplice: lui prende le due regoline (studiate alle scuole elementari) e si arrabbia (anzi, in fondo si sente grande, proprio come ...il tuo omonimo Beckmesser) quando non le vede applicate.

Sottoscrivo ovviamente tutto il ragionamento e l'impostazione!

Vorrei aggiungere però che per essere "linguisti" è fondamentale essere anche esperti "grammatici", non certo della "grammatica" assoluta, ma delle varie "grammatiche" succedutesi con le epoche.
Questo mi preme dirlo perché spesso tra i linguisti si celano anche coloro che definiscono perfetto il registro medio di Mariella Devia o perfettamente fermo quello sovracuto di Maria Callas post '55; coloro che giudicano timbricamente omogenea la Baltsa o superesteso e sicuro il registro acuto della Valentini.
Dalla sana e oggettiva (per i parametri che lo sono) ricezione poi partono tutte le discussioni e i ragionamenti dei "linguisti", pronti poi a stabilire se quei suoni bianchi, disomogenei, perfetti, o luminosi che siano; quel senso musicale rigoroso o disarticolato che sia, portino o no ad un qualche meritevole risultato.
Oltretutto, se non c'è comune accordo sulle rilevazioni di base non si può nemmeno discutere!

Per quanto riguarda la Dessay è evidente che "cellettianamente" parlando, la forma vocale non è più quella estesa e brillante di un tempo.
Ma per dire questo non ci vuole nulla se non due orecchie! Non è tanto interessante discuterne, no?

Diverso è discutere se davvero il disco di arie mozartiane da concerto sia il non plus ultra della Dessay o se invece non sfiguri per piattezza rispetto (ad esempio) alle analoghe interpretazioni della giovane Gruberova.

Perché la Dessay, quella vera, secondo me, è quella dell'ultima Fille, delle bambole impazzite di Offenbach, di Cunegonde di Bernestein.
Non certo di quel noiosissimo e aggraziato recital mozartiano, dove ci sono tutti i sovracuti, ma mancano vigore, personalità e slancio (oltreché, a fare bene i "grammatici", anche gli affondi al grave come in "Vorrei spiegarvi oh dio").

In quel Mozart il confronto con giganti come Gruberova o Sills è schiacciante.

La stessa Regina della Notte della Dessay personalmente a me non ha mai detto molto...

Poi, certo, ammetto che a Vienna arrivò stanca a fine recita della Fille. Però caspita, lì ha lasciato una firma indelebile!

La Massis sta agli antipodi della Dessay per stile e personalità. Dove l'una ha gusto francese elegante, raffinatissimo e un po' snob, l'altra è una bambina burrascosa, isterica e capricciosa. Proprio non le vedo accostabili.
In Lucia la Massis pur cantando tutte le notine, manca un po' di spessore drammatico; non credo possa competere in questo ruolo con la Dessay (nonostante non abbia visto dal vivo quest'ultima).
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Messaggioda teo.emme » mer 26 set 2007, 0:22

Il discorso è naturalmente interessantissimo, e vivaddio, di livello "elevato" senza trascendere nella tifoseria. Molto bello...

Vorrei precisare alcune cose però.

Azzeccato il paragone con gli studi dei "linguisti", ma attenzione...un congiuntivo resta tale sia nella prosa dell'Ariosto che in quella di Moravia, e così pure le regole della grammatica, o meglio le architravi portanti della grammatica.

Poi cambierà il lessico, cambieranno i modi espressivi, cambierà la forma, ma non mutano le regole di fondo.

Ora trasportiamo il ragionamento al canto.

I tempi cambiano, la percezione pure, i gusti, le mode, gli stili, la voce..tutto cambia. Oggi non basta più l'emissione regolare delle note (ma non credo sia mai bastata neppure nel passato), oggi la credibilità anche scenica dell'opera ha e deve avere un suo spazio. Le regie si fanno più sofisticate e "teatrali", il pubblico si fa più esigente dal punto di vista visivo, la messa in scena e la drammaturgia originale vengono spesso adattate o stravolte, al fine di comunicare un certo messaggio, una certa idea, un certo approccio, oppure semplicemente per dare nuova vita a testi ormai lontani dalla nostra cultura.

Vero, tutto vero. E anche tutto molto bello (quando riesce bene..). Chi di noi non è felice uscendo da uno spettacolo convincente anche sul piano visivo?

Detto questo, preso atto di questo cambiamento di linguaggio, ci si deve interrogare in merito alla grammatica.

E alla fine si deve convenire che le regole sono sempre quelle lì, non ci si scappa, poi su quella base si faccia ciò che si vuole, ma sulle regole non si può e non si deve transigere. Altrimenti cambia tutto. Altrimenti "non si parla più italiano" (per tornare all'esempio linguistico), ma si parla un indistinto gramelot che si avvicina al rumore, se non è retto da regole, da norme, da leggi.

Naturalmente non ce n'è una sola di regola: quel che vale per il Belcanto può non valere per il verismo.

Tutto qua il discorso (senza tirare impiedi accuse di "cellettismo" o giù di lì).

Nessuno vuole riproporre un'idea di melodramma con i soprani rubicondi e rubizzi, immobili in scena, i tenori che lanciano gli acuti con un braccio teso lungo il corpo e l'altro proiettato verso l'alto e con uno sguardo estatico, nessuno rimpiange certi "concerti in costume".

Ma altra cosa è dire invece che il Belcanto ha le sue regole e vanno rispettate. E le regole ci sono, non prendiamoci in giro.

Il belcanto è giocato sulla trasposizione nella trama musicale, degli affetti, delle allusioni, dei sentimenti (in questo si distacca dalla tradizione dell'opera all'italiana, dove i personaggi erano monoliti marmorei prigionieri in una superba vocalità dalle forme compiute e ideali).

Rinunciare a valorizzare ciò che la musica suggerisce ed interiorizza (la pazzia, il sogno, la rabbia, la natura), a favore di una superflua esteriorizzazione, fatta di grida, di pianti, e di corse, significa rinunciare ad un mondo espressivo ed al fascino stesso di quella straordinaria e irripetibile stagione musicale. Si pensi a Lucia: aggiungere i rumori dei tuoni nella scena della torre, quando già il loro suono è stato tradotto da Donizetti in chiave musicale, è inutile e superfluo (anzi dannoso, perchè copre di rumore prosaico ciò che è invece tradotto in chiave poetica come allusione); così pure agitarsi e schizzare acqua e svolgere abluzioni personali nella scena della pazzia, quando si sente l'accenno spezzato alla melodia di "verranno a te sull'aure", come se provenisse da un sogno o da un incubo, copre di rumore inutile un momento tradotto dalla musica in poesia.

Ecco cosa intendo per regole, non un rigido rigore formale (che farebbe a pugni con il belcanto e ne sarebbe la maggior negazione), ma il rispetto del suo intimo significato: la traduzione in termini puramente vocali e musicali di un mondo interiore e sentimentale prima assolutamente trascurato (in nome di una compostezza ideale ispirata al Bello come concetto in sè). Valorizzare questo significa comprenderne appieno la portata rivoluzionaria. Il passo da Rossini a Donizetti è enorme ed è comprensibile solo così. E se così si comprende si comprenderanno e si valuteranno i passi successivi, il mutamento di linguaggio che porterà a Verdi e poi Puccini etc... Comprendere e rispettare le peculiarità di un certo repertorio significa valorizzarne l'unicità.

In caso contrario si fa un minestrone indistinto di generi e stili e si finisce per cantare Lucia come se l'avesse composta Leoncavallo o Giordano...

E a ben vedere qui si pone la grandezza della Callas, l'aver trovato per ogni repertorio un approccio diverso e fedele allo spirito originale: la Callas che canta Tosca non è la stessa che canta Norma.

Ma torniamo alla Dessay. E partiamo dalla Lucia del Met, dell'altro ieri... L'ho sentita per radio e, con tutte le tare di un simile ascolto, non si può negare l'evidenza. Non è stato un bel sentire: a parte gli acuti urlati, i bassi parlati, le agilità pasticciate, l'isterismo e il bamboleggiamento..ha infarcito la parte di segni esteriori degni del peggior Mascagni: rantolii, pianti, un urlo belluino prima della cabaletta nella scena della pazzia. Questo non vuol dire sottolineare la drammaticità, questo è berciare. E' rinunciare ad uno scavo psicologico della parte a favore di una volgare esteriorizzazione degli affetti. Affetti che invece vanno trovati nella partitura in tutti gli innumerevoli segni espressivi che l'autore ha lasciato e che la Dessay ha ignorato. La Dessay ha rinunciato a interpretare Lucia, e l'ha trasformata in una sceneggiata napoletana. E non parlo dell'evidente usura del mezzo vocale (per i noti problemi che ha avuto), parlo di atteggiamento. E' più rivoluzionaria la Lucia della Callas di 60 anni fa che quella odierna della Dessay (che riprende certe brutte tradizioni para veriste).

Nulla contro la Dessay in generale, in altro repertorio è splendida: in Alcina, Zerbinetta, Arabella, Lakmé... le arie mozartiane sono splendide (certo c'è una grande tradizione interpretativa, ma la Dessay non sfigura) - se ne lamenta la freddezza, ma in fondo sono brani di algida bellezza, svincolati da una realtà drammatica e da un contesto. Certamente la Gruberova non era meno fredda della Dessay. Splendida è anche in Offenbach, e ina tante altre cose..... ma sinceramente non si può dir lo stesso del suo Belcanto.

Per fare Belcanto occorre una "grammatica" salda e la capacità attuale di esporla. La Dessay ora come ora non può oggettivamente permetterselo, ecco tutto.

Con ciò non discuto che assistere ad una sua Fille sia "emozionante" (non la Lucia del Met, quella era oggettivamente un orrore), ma questo in virtù di una interpretazione che molto è giocata sul gesto. Ora vi chiedo, può una cantante (e sottolineo: CANTANTE) risolvere un ruolo sul mero gesto attoriale?
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Messaggioda MatMarazzi » mer 26 set 2007, 0:28

dottorCajus ha scritto:Meriterebbe una bella chiaccherata fra amici, un bel botta e risposta. Ma qui dobbiamo scrivere. Rifletto e mi faccio vivo.

Attendo la tua replica! :)
Però questo non toglie che la chiacchierata de visu si possa anche mettere in cantiere.
Anzi, non so se faccio bene ad anticiparlo, ma è tempo che si parla di una tavolata fra i partecipanti del forum! :)

Veniamo a Riccardo.

Riccardo ha scritto:Vorrei aggiungere però che per essere "linguisti" è fondamentale essere anche esperti "grammatici", non certo della "grammatica" assoluta, ma delle varie "grammatiche" succedutesi con le epoche.


E' chiaro, Ric, che il linguista deve conoscere lE grammatiche, ma deve essere capace di relativizzarle tutte.
Ogni tecnica (e quindi ogni suono) altro non è che una convenzione.
Questo non vuol dire che non esistano regole, ma solo che le regole valgono hic et nunc, si possono cambiare, si possono discutere.
E soprattutto HANNO SENSO SOLO FINCHE' SONO VITALI, significano qualche cosa.
Questo mi preme dirlo perché spesso tra i linguisti si celano anche coloro che definiscono perfetto il registro medio di Mariella Devia o perfettamente fermo quello sovracuto di Maria Callas post '55; coloro che giudicano timbricamente omogenea la Baltsa o superesteso e sicuro il registro acuto della Valentini.


Dici? :shock:
Io non ne conosco.
O per lo meno non li definirei "linguisti".

Oltretutto, se non c'è comune accordo sulle rilevazioni di base non si può nemmeno discutere!

Credo che questo problema (che fai bene a porre) non si sia mai posto, almeno in questo forum.
Però non sottovalutarei l'apporto del neofita puro: spesso sente cose che noi, soffocati dalle nostre abitudini e ...schiavi delle convenzioni, non notiamo più.
Io, nel mio Wanderer, ho spesso rapporti con neofiti puri e ti assicuro che li trovo spesso illuminanti.

Perché la Dessay, quella vera, secondo me, è quella dell'ultima Fille, delle bambole impazzite di Offenbach, di Cunegonde di Bernestein.

Anche per me è proprio così.
La Dessay vera è quella di adesso.
Io l'ho scoperta nel 2004, con la Manon di Ginevra (era il suo debutto): fu allora che mi resi conto di essere di fronte a uno di quei giganti dell'opera che si incontrano poche volte.
E dire che, prima, l'avevo già sentita varie volte e ne avevo ammirato i prgi; e dire che nel 2004 era appena uscita dal primo intervento; e dire che (anche se il simpatico pqyd è convinto di rivelarci chissà quale verità) sentii già allora benissimo quelle nuove tensioni e fragilità che ora caratterizzano il suo canto.
Ma il gioco dei colori, il ricamo dei rubati, quelle mezzevoci straniate, quella creatività che illuminava ogni parola, ogni gesto, quell'avventarsi nuovo sui ritmi, a perdifiato, quell'ironia aggressiva, quel non temere più nulla, neanche di osare l'estremo... mi sconvolsero.
Il personaggio di Manon, la sua musica, la sua atmosfera vennero fuori come mai mi era capitato di sentire.

Dovremmo tenercela stretta, io credo, con tutte le sue attuali fragilità...
Non ne nascono poi tante di personalità così, purtroppo.

Salutoni,
Matteo
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Messaggioda PQYD » mer 26 set 2007, 0:35

MatMarazzi ha scritto:quelle nuove tensioni e fragilità che ora caratterizzano il suo canto.


Tensioni e fragilità che di solito si manifestano ben dopo i 40 anni. Ma la Dessay è all'avanguardia anche in questo :P
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Messaggioda MatMarazzi » mer 26 set 2007, 0:44

PQYD ha scritto:Tensioni e fragilità che di solito si manifestano ben dopo i 40 anni. Ma la Dessay è all'avanguardia anche in questo :P


Anzi, la Dessay è eccezionalmente longeva considerato il tipo di voce! :)
Se ci pensi, moltissime delle cantanti super-estese come lei (che sfiorano o superano le tre ottave) si frantumano ben prima dei 40.
Pensa al rapidissimo, drammatico sfacelo di Edda Moser o della stessa Callas.
La Robin poi, poveretta, è morta di un tumore alle corde vocali, proprio intorno ai 40!

:(

Salutoni
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Messaggioda PQYD » mer 26 set 2007, 1:00

Allora che si ritiri.
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Messaggioda MatMarazzi » mer 26 set 2007, 2:16

PQYD ha scritto:Allora che si ritiri.


Probabilmente la Dessay, dopo aver sentito la Horne settantenne in quel brano che ci hai quotato, giudicherà di poter cantare fino alla completa decomposizione! :)
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Messaggioda PQYD » mer 26 set 2007, 8:36

MatMarazzi ha scritto:
PQYD ha scritto:Allora che si ritiri.


Probabilmente la Dessay, dopo aver sentito la Horne settantenne in quel brano che ci hai quotato, giudicherà di poter cantare fino alla completa decomposizione! :)


Dici che può anche peggiorare? :shock:

ah già... dimenticavo... Traviata nel 2009.... con veri sbocchi di sangue, c'è da giurarci 8)
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Messaggioda marco » mer 26 set 2007, 8:47

Traviata nel 2009


purtroppo a Santa Fe :cry:
speriamo che la riproponga in Europa
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Messaggioda PQYD » mer 26 set 2007, 9:18

Secondo te Parigi si farà sfuggire l'occasione? 8)

Una bella recita di gala alla Salle Richelieu... :roll:
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Messaggioda MatMarazzi » mer 26 set 2007, 11:38

teo.emme ha scritto:...un congiuntivo resta tale sia nella prosa dell'Ariosto che in quella di Moravia, e così pure le regole della grammatica, o meglio le architravi portanti della grammatica.


Proprio l'esempio del congiuntivo dimostra, secondo me, l'errore di fondo della tua impostazione.
Anche il congiuntivo è solo una convenzione, non un'architrave.
E non solo perché dai tempi di Ariosto a oggi ha ampiamente modificato il suo utilizzo.
Infatti, il congiuntivo non è sempre esistito: è stato inventato un bel giorno (quando i parlanti indoeuropei sentirono il bisogno di un modo verbale che sottolineasse l'incertezza), prima non c'era.
E non ci sarà per sempre.
Se prendi l'esempio dell'inglese vedi come il modo congiuntivo (presente fino a pochi secoli fa) sia stato progressivamente distrutto.
Evidentemente i parlanti non se ne facevano più nulla, avendo trovato altri modi per esprimere la soggettività.
In francese è ridotto a un moncherino.
E persino in italiano, con grave scandalo dei nostri grammatici, sta vivendo una lunga fase di consunzione: questo non semplicemente perché i parlanti sono ignoranti (ah.... i ragazzi di oggi!), ma perché le lingue selezionano spietatamente ciò che non serve più.
Fosse anche un "architrave" (come dici tu) della grammatica storica.

Proprio come fa la storia del canto.
Nel caso che ci riguarda, esistono solo quattro dati oggettivi (almeno per chi, come me, non crede nelle verità bibliche a proprosito di canto d'opera).
1) le note scritte del repertorio belcantista (gli spartiti)
2) le tradizioni e prassi esecutive, composte di suoni accettati nel tempo (il chè non significa affatto accettati dagli autori, morti e sepolti secoli fa: non è affatto detto che Rossini avrebbe accettato i suoni del nostro amatissimo Blake).
3) i suoni "specifici" del cantante, vecchi e nuovi.
4) il punto più importante: la "selezione" operata dalla società dei fruitori d'opera, epoca dopo epoca. E' l'insieme dei fruitori che filtra i suoni "nuovi" e "vecchi" e stabilisce quelli da tenere e quelli da eliminare in un certo repertorio.
E' questa selezione a stabilire l'evoluzione della tradizione tecnica e stilistica. Proprio come nella lingua. I parlanti - nel loro insieme - filtrano e decidono, alla faccia di tutti i grammatici, cruscanti, storici e puristi.
Siamo noi oggi, la nostra società di parlanti, a decidere che "italiano" parlare a livello grammaticale, sintattico e lessicale; e non ce ne frega nulla che il Vate Dante, settecento anni fa, usasse il congiuntivo in modo diverso (come a lui non interessavano i primi esempi di volgare di trecento o quattrocento anni prima).
Se fra mille anni si canterà Bellini con la stessa tecnica che ha oggi Al Bano Carrisi noi non ci potremo far niente, ...tranne sperare che i nostri pronipoti non accettino quei suoni... ;)
ma se li accetteranno, allora QUELLO sarà il modo "giusto" - ai loro anni - di cantare Bellini.
Probabilmente la distanza tecnica che separa le prime dive operistiche da quelle di oggi è altrettanto abissale.

Quando parlo di "parlanti" o di "ascoltatori" (è importante) non mi riferisco ai singoli, che non contano niente (o molto poco), ma alla società nel suo complesso.
Se un singolo decide di ripristinare l'aoristo nell'italiano, non per questo ci riuscirà.
E così il fatto che la Devia, come potenziale risposta ai ruoli Pasta e Ronzi, sia confinata in Italia e snobbata dal resto del mondo significa che quel tipo di sonorità sta vivendo - per questi ruoli - il suo declino.
Mentre il fatto che gente come la Gruberova o la Dessay trionfi ovunque negli stessi personaggi dimostra proprio che la comunità degli ascoltatori è pronta a mettere in discussione certe basi antiche e tradizionali di esecuzione di questo repertorio.
E questo avviene, di solito, perché il pubblico si riconosce in grandi personalità.

E siamo arrivati al cloudel discorso, che ci riporta alla Dessay: l'evoluzione tecnico-canora è legata alla forza di persuasione dei grandi interpreti, quelli più in diretto rapporto con le evoluzioni della nostra società.
Il pubblico d'opera, infatti, non accetta nuovi suoni se non vi si riconosce.

Come vedi, per come la vedo io, il problema è assai più spinoso del "il blecanto si fa così, punto e basta".
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Messaggioda Riccardo » mer 26 set 2007, 11:42

teo.emme ha scritto:ma la Dessay non sfigura[/i]) - se ne lamenta la freddezza, ma in fondo sono brani di algida bellezza, svincolati da una realtà drammatica e da un contesto. Certamente la Gruberova non era meno fredda della Dessay.

Beh, secondo me in quei dischi di arie non sono paragonabili.
La Gruberova non mi sembra proprio sia fredda, ma in assoluto, non solo lì. Magari leziosa, manierata, sopra le righe, ma fredda non mi pare! In quelle arie è una soubrette pazza scatenata eppure levigatissima nell'emissione. E' una cantante così strana... La Gruberova era fuori di testa anche quando cantava Semiramide!
Per le sue arie da concerto mi riferisco sia al disco di Hager sia a quello successivo dal vivo con Harnoncourt.

La Dessay nel suo è freddina perché secondo me non è nel suo, nonostante le note le avesse tutte...canta ma canta solo e senza crederci più di tanto (l'ha pure detto di non sopportare i ruoli puri di coloratura).
Non so, a me sembra così!

MatMarazzi ha scritto:
Questo mi preme dirlo perché spesso tra i linguisti si celano anche coloro che definiscono perfetto il registro medio di Mariella Devia o perfettamente fermo quello sovracuto di Maria Callas post '55; coloro che giudicano timbricamente omogenea la Baltsa o superesteso e sicuro il registro acuto della Valentini.

Dici? :shock:
Io non ne conosco.
O per lo meno non li definirei "linguisti".

Ma no certo, nemmeno io... Però possono sembrarlo di primo acchito, proprio perché non sono "vociologi", ma a quel punto non hanno altro riferimento!

Oltretutto, se non c'è comune accordo sulle rilevazioni di base non si può nemmeno discutere!

Credo che questo problema (che fai bene a porre) non si sia mai posto, almeno in questo forum.
Però non sottovalutarei l'apporto del neofita puro: spesso sente cose che noi, soffocati dalle nostre abitudini e ...schiavi delle convenzioni, non notiamo più.
Io, nel mio Wanderer, ho spesso rapporti con neofiti puri e ti assicuro che li trovo spesso illuminanti.

Già, immagino. Perché a volte essere neofiti puri porta a ricevere direttamente alcune sensazioni, con ingenuità e senza interposizione di filtri dati dal pensare di sapere tutto o dal dover trovare dettagli "da esperto".

Il personaggio di Manon, la sua musica, la sua atmosfera vennero fuori come mai mi era capitato di sentire.

Altri che l'hanno vista a Barcellona mi hanno detto che è stata incredibile.
Decisamente superiore alla Fille.

Salutoni,
Riccardo
Ultima modifica di Riccardo il mer 26 set 2007, 11:46, modificato 4 volte in totale.
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