Teo ha scritto:Il discorso comunque è interessante, ma credo che si possa discuterne solo nella misura in cui si possa partire da un dato comune, ovvero: siamo stati a teatro insieme (o abbiamo visto lo stesso spettacolo nel medesimo teatro e con lo stesso artista) ed abbiamo ascoltato successivamente lo stesso artista anche nell'incisione su disco. Diversamente credo sia difficile riuscire a poterci confrontare in modo costruttivo.
Questa ovviamente è la mia opinione...
Ciao Teo,
capisco il tuo punto di vista, ma oramai un'idea me la sono fatta, dopo circa 400 opere viste a teatro negli ultimi 30 anni (...be' non esageriamo, sono solo 27 anni che vado all'opera).
Ne ho sentiti davvero tanti di cantanti: prima o poi voglio stendere una lista.
Gli stessi che ho sentito regolarmente in disco o nelle registrazioni. E li ho sentiti nelle condizioni acustiche più disparate, dalle grandi arene all'aperto, alle piccole sale per la musica liederistica.
Essendo (il viaggiare per opere) l'unica passione della mia vita, ti posso assicurare di essere entrato in tanti, tanti teatri e di averne sentite di tutti i colori (oltre, naturalmente, ad aver visto le navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione e i raggi beta balenanti nel buio vicino alle porte di Tannhäuser).
Insomma, credo di poter affermare che su tantissimi aspetti lo studio di registrazione non è in grado di "truccare" una voce: per esempio sui colori e sulla dinamica.
E' vero che il disco inganna sul fronte del volume; l'abbiamo detto. Il volume, nel cd, non è più così importante.
Ed è anche vero che in studio si perde la capacità di un suono di farsi largo nello spazio, anzi di sfruttarlo per far risuonare gli armonici (cosa che avviene anche se tu ascolti un cantante da vicino).
In compenso il disco offre tanti aspetti del suono che a teatro si perdono, valorizza dettagli fonici e musicali che lo spazio teatrale comprime.
Questo ci autorizza a considerare il teatro e il disco oggetti artistici diversi.
Non dobbiamo vederli in competizione, o in gerarchia.
Semplicemente considerarli due prodotti culturali fatti per due tipi di fruizione diversi.
Non è per insistere su questo punto, ma non penso che cantare in studio sia "più facile" che cantare a teatro.
Per certi versi sì, per altri versi no: è molto più difficile.
Sono difficoltà diverse.
A teatro ci sono dei problemi (a tutti evidenti) di natura fisica e persino atletica che - in disco - è fin troppo facile risolvere.
In studio però il più piccolo (ma proprio piccolo) errore ritmico o di intonazione (che a teatro nemmeno si sentirebbe) risulta catastrofico.
Un fraseggio inerte a teatro non dà fastidio (perché sei distratto da altre centomila cose) mentre in disco è una sciagura.
Essere un po' bulli e magniloquenti all'arena di Verona è persino auspicabile; esserlo in disco vuol dire farsi dare del pirla.
In disco la spettacolarità conta meno che a teatro (proprio perché tutti sanno che potrebbe essere frutto di ingegneria); a causa di questo, però, conta mille volte di più che a teatro il dettaglio: anche una semplice frase o un recitativo.
Ma la difficoltà più grande (in senso tecnico ed espressivo) consiste nel fatto che a teatro il cantante rivolge i propri suoni a gente posta a 50 - 100 metri di distanza. Può essere un problema, ma può anche essere un vantaggio.
Mentre in disco, l'ascoltatore è a pochi metri (all'altezza del microfono). Sente anche i respiri.
E in funzione di questo dovranno essere ripensati tutti i suoni, i colori, gli accenti, gli attacchi, gli effetti dinamici, ecc..
Sembra facile....
Non è facile recitare a teatro, ma nemmeno sostenere in un film un primo piano di dieci minuti.
E non è affatto detto che un grande attore di prosa ne sia capace...
Salutoni,
Mat