Caballé e Puccini "live":
Trattandosi di uno degli autori forse più commerciali dell’opera lirica a Montserrat Caballé ai tempi della sua fama planetaria è stato richiesto, e da diverse case discografiche, di incidere quasi l’integrale pucciniana oltre al canonico recital di romanze. Ciò nonostante, complice anche il fatto che si tratta perlopiù di incisioni perfette ma poco “personali”, la fama della Caballé per tutti gli appassionati è più legata al repertorio belcantista, a quello tedesco e semmai a Verdi che sono gli autori da lei maggiormente portati sulla scena. Ciò non toglie che l’indiscutibile talento di fraseggiatrice, nonchè la nota dolcezza e bellezza del timbro della sua voce ben si prestavano alle molto femminili eroine pucciniane e quindi occorre "scartabellare" nei live delle esecuzioni on stage per trovare preziosissime interpretazioni pucciniane di Montserrat Caballé, alcune delle quali magari pure poco note, e che vale la pena di segnalare.
Un CD live di una recita di Turandot del settembre 1965 a Buenos Aires diretta da Previtali ci mostra, a fianco della algida e possente Turandot della Nilsson, una morbidissima Liù della giovane Caballé recentemente salita alla ribalta con la celebre Lucrezia alla Carnegie Hall. Secondo la biografia della Caballé fu proprio la cantante svedese a prendere durante le prove le difese della giovane spagnola davanti agli strali di Previtali che non pareva apprezzare il suo stile troppo misurato e belcantista, e bene fece la grande Nilsson perchè, a parte il fatto che il binomio vocale funziona a meraviglia, ci sono alcune idee vocali della Caballé che a mio parere valorizzano in modo particolare un ruolo solitamente un pò routinario, e cito tra le tante la incredibile esecuzione tuta di un fiato del brano “tanto amore segreto” con la voce che prima attacca in piano e quindi si rafforza e cresce di intensità con una luminosità senza pari chiudendosi in modo talmente commovente e nuovamente rismorzato che il pubblico prorompe in un applauso fuori ordinanza prima del più noto “Tu che di gel” coprendo così l’orchestra del (immagino...) livido maestro, insomma una vera e propria meraviglia e vale la pena ricordarlo inserita in quell’anno 1965 dopo Lucrezia, Cavaliere della rosa, Nozze di Figaro e prima di Traviata, Roberto Devereux e Faust. Il resto del cast non vale granchè, ma l’accoppiata delle due donne è da edizione “storica” tanto quanto lo sarà la successiva edizione discografica Decca con altra celebre partner.
Altra accoppiata vocale senza alcun dubbio storica la troviamo sempre al Colon di Buenos Aires un anno dopo in altro CD live e precisamente nel luglio 1966 con la Manon Lescaut diretta da Bartoletti che fu l’ultimo impegno di quell’anno della oramai già strafamosa Caballé prima della prima maternità per il primogenito Bernabè (che nascerà ad ottobre). Sempre la biografia racconta che la Caballé era in grave ambascia perchè temeva con quelle recite di mettere a rischio la gravidanza, fortuna vuole che invece cantò e che qualche anima pia ebbe a registrare la serata (tra l’altro come nel caso di prima con suono davvero ottimo) perchè tra la sua Manon ed il De Grieux di Richard Tucker è una gara vocale tra due ugole in vero e proprio stato di grazia e che qui ostentano una generosità vocale che raramente ho ravvisato in altre coppie amorose di questa opera, e valga per lei il da capo di “L’ora o tirsi” o per lui il “No pazzo son”, da brivido assicuro e che giustamente tirano giù il teatro dagli applausi. Tra l’altro, tra i vari ruoli pucciniani, quello di Manon, anche per tipologia di voce e di stile, mi è sempre parso il meglio adatto alla Caballé e difatti la successiva incisione EMI con Domingo (sempre diretta da Bartoletti) è per mio conto uno dei più bei dischi di opera di sempre, ma questo live per certi aspetti lo supera.
Passano parecchi anni a questo punto, non che la Caballé abbia mai smesso di cantare Puccini peraltro, e arrivano i video amatoriali e così possiamo anche vedere la sua recitazione in scena ed allora va detto che il Video di Nizza del 1980 ci mostra una Tosca (il ruolo da lei più eseguito peraltro) certamente di notevole livello con frasi come io veniva a lui o quanto hai penatoma si deve attendere il duetto finale del 3 atto con Mario (un generoso ed intenso Carreras) per sentire finalmente qualche idea geniale della grande Caballé e che ci arriva tra capo e collo allo incredibile smorzando del “e noi siam soli” (ed uno sobbalza sulla sedia o dove sta...) fino a quel “nuvole leggere” o quel “Poscia civitavecchia” che nessuna ha mai accentato col suo languore, come annotava anni addietro anche il “perfido” Celletti nel noto libro.
Ma per mio conto risiede in altro video dell’anno successivo il vero e proprio capolavoro vocale, interpretativo e scenico della Caballé in Puccini, e mi riferisco alle celebri recite di Turandot di settembre 1981 alla Operà di Parigi dirette da Ozawa con la prima trasmessa in eurovisione.
A parte la bellezza della scena del 2 atto e dei costumi (la Caballé sembra persino alta e magra...) e la meraviglia assoluta della direzione di Ozawa (il paragone con la accoppiata Zeffirelli-Maazel della successiva edizione scaligera di due anni gioca a tutto favore della accoppiata parigina) occorre riconoscere, se non si è in malafede, che se è pur vero che poi il miracolo non si è più ripetuto e che il disco ufficiale Emi non era nulla di che etc., in quella serata videotrasmessa la Caballé esegue sotto tutti i punti di vista una principessa davvero da fiaba, per mio conto la migliore che ho mai sentito. Già perchè una volta che ha brillantemente ed a suo modo risolto gli aspetti più declamati e tonitruanti della parte (gli acuti a voce piena suonano ancora, seppur saggiamente staccati quasi alla wagneriana, raggianti e rotondi) tutto il versante umano, lirico e femmineo della principessa che pure c'è eccome e conta assai nella storia, soprattutto nel duettone dello sgelo, trova nella Caballé una cantante molto più pertinente dei tanti sopranoni drammatici ma un pò frigidi che si sono succeduti in questa parte, e basta sentire cosa diventano gli enigmi pronunciati da una cantante fantasiosa e con voce benedetta e non solo meccanicamente declamante sulla stessa ed univoca corda.
Si tratta peraltro dell’uovo di colombo e difatti fu esattamente l’esperimento tentato in disco da Metha prima e da Karajan dopo, riuscito, come ben si sa, solo nel primo caso e non nel secondo...ma non certo per colpa della idea in sè...
Tra le tante gemme di questa superlativa Turandot (anche Giacomini e la Mitchell se la cavano egregiamente anche se risultano surclassati per inerzia interpretativa, soprattutto il primo, da questa ispiratissima Turandot), ricordiamo la lunga smorzatura filata del secondo “quella morte” della grande entrata dopo l’acuto di “quel grido”, il rallentando bellissimo con una sorta di forchetta che lega senza soluzione di continuo la parte centrale della struggente invocazione al padre al punto del “non puoi donarmi a lui” (punto dove solitamente i drammaticoni fanno perdere tre quarti dell'effetto metamorfosi voluto da Puccini) e le tante meraviglie che dissemina nel solitamente confuso duettone finale interpolato, che qui diventa, nella parte di lei sia chiaro, una specie di capolavoro, e quando dopo una memorabile esecuzione del “c’era negli occhi tuoi” arriva quel magico “so il tuo nome” ripetuto, la seconda strofa diventa un pianissimo etereo ed interminabile per dare modo alla orchestra di crescere insieme mentre cambia la scena per il finale è una summa interpretativa da grandissima fuoriclasse, senza contare che chiude l’opera poi in cima alla scala con il celebre e tenuto a lungo anzi lunghissimo “il suo nome è amore” fino agli ultimi accordi e che non è possibile descrivere per iscritto, occorre vederlo e punto, in sintesi una Turandot memorabile, direi una delle più belle cose fatte dalla Caballé nella seconda parte della sua carriera e c'è da rimanere stupefatti che si tratti della stessa cantante di quella sopraricordata giovane e soavissima Liù.
Ovviamente non ho citato le stra-note romanze, non mi interessano, ovvio che un soprano lirico angelicato come la Caballé cantasse benissimo il “Vissi d’arte” o il “Signore ascolta” o “In quelle trine morbide” ma quelle possono cantarle bene se non in tante in molte, non è da quei brani che emerge a mio parere la grande pucciniana, la grande pucciniana emerge dal fraseggio, dal canto di conversazione, dalla fantasia interpretativa, dalla varietà dei colori in ogni frase etc. etc. l’arte di Puccini è tutta lì, sembra semplice eppure le veramente grandi cantanti puccinane sono state pochine, ma quel che è certo è che tra di esse ci sta pure a pieno titolo Montserrat Caballé.