Tucidide ha scritto:E com'è allora che io sento solo un canto noioso e monotono, e senza ALCUNA tensione?
A me lo chiedi?
Per me è un vero mistero... così come il fatto che tolleri la Fleming in quello stesso pezzo.
O forse sono due misteri che si giustificano l'uno rispetto all'altro!
A parte gli scherzi, tengo a ribadire (visto che non vorrei che la mia critica al "canto alla luna" della Fleming paresse una critica generalizzata a lei) che la cantante americana come Rusalka si riscatta da par suo al secondo e soprattutto al terzo atto. Globalmente è superba.
Un scivolata non sarà mai - per me - un motivo di demolizione... in particolare per un'artista come la Fleming, che di scivolate è espertissima!
Il fatto è che è più forte di lei: quando in lei scatta quel demonietto, quella voglia di sentirsi
divastra porcona come Marilyn Monroe in Niagara, non c'è nulla che la fermi...
Forse l'amiamo anche per questo... certamente il Carsen del Capriccio o dell'Alcina l'amò proprio per questo.
Quanto ai segni d'espressione, beh, che dire? Sono d'accordo che si può ascoltare un'aria o un'opera senza spartito sotto mano! Certo!
Non è che "si possa"... si deve!
Proprio come un attore (per tornare al tuo esempio) si valuta nel suo "recitare", punto e basta.
La bravura di Meryl Streep la giudichi nel momento in cui guardi un film, non dopo aver verificato la sceneggiatura.
E lo stesso vale per Goldoni: non ti servirà a nulla leggere la commedia, se non sei riuscito ad apprezzare (per colpa sua o tua, non importa) l'arte dell'Arlecchino di turno.
Volevo dire solo questo.
Quindi se non ti piace la Von Stade in quest'aria (perché non si sbrodola abbastanza, non fa a pezzi la melodia, non si adorna di effettoni, insomma... mette in cattiva luce la Fleming
) amen!
Liberissimo e padronissimo...
Ma le forcelle e i "ppp" dello spartito, per cortesia, lasciamoli a chi se ne serve per giocare al piccolo critico!
oooops!...
Ok, Mat, ci sto. Allora ti dico: la Caballé spappola le melodie verdiane a livello ritmico. Beh, vabbè, non era questa la cosa che le interessava.
Credimi, è la stessa cosa...
Io infatti non nego al cantante la libertà di portare avanti le proprie convinzioni.
Faccia quel che vuole, PURCHE' ARRIVI A PERSUADERMI.
Quel che conta è il risultato teatrale e musicale.
E' chiaro che ho le mie idee su come (mettiamo) si costruisce un frigorifero.
Però se tu, costruendolo in modo diversissimo, ottieni comunque l'obbiettivo di "fare freddo", tutto il freddo che mi serve, tanto di cappello!
Io ho le mie idee, certo, le mie teorie.
Ma alla fine conta il risultato.
Ad esempio, una delle mie convinzioni più radicate è che l'interprete musicale deve stare MOLTO ATTENTO al ritmo quando si trova di fronte a melodie semplici, specialmente se sentimentali.
Altrimenti le involgarisce.
Una cosa che ho più volte ripetuto alle mie amiche mezzoprano quando mi chiedevano consiglio su "Mon coeur s'ouvre à ta voix" è di non cedere MAI alla tentazione di sbracare e allargare sul refrain.
L'effetto è plateale, da avan-spettacolo. Che rispettino invece la "linearità" della melodia, che ne acquisterà in nobiltà, pulizia, modernità scultorea.
Bene. Sono convintissimo della validità di questa posizione teorica. Formalmente la considero giusta.
Ma solo formalmente.
Perché in pratica ci sarà la cantante che va a tempo e nonostante questo risulterà volgare.
Poi ci sarà la cantante che si prende le peggiori libertà e nonostante questo sarà fantastica.
Basta sentire la Normann, che fa esattamente il contrario di quanto predico: si permette in quest'aria indugi inauditi.
Ed è fantastica! Il più bel "mon coeur" che abbia mai sentito.
La melodia non si spappola perché il "controllo" che lei ha sullo sviluppo della frase è semplicemente spaventoso (e assecondato in modo geometrico dall'orchestra). La sostanza "sonora" si imprime alla melodia come cemento armato.
Pur nella radicale libertà, tutto resta saldissimamente ancorato a un disegno architettonico poderoso.
Ecco: la Normann mi contraddice in teoria. Ma lo fa CONVINCENDOMI della bontà del risultato.
Il suo frigorifero produce tutto il freddo che mi serve.
Questo non significa che le mie tesi siano necessariamente sbagliate, ma che solo di tesi si tratta.
Quello che conta alla fine è il risultato.
Se per te il risultato della Caballé nei cantabili verdiani è attendibile... ok!
Se non lo è, allora chiediamoci "perchè".
Non discuto che sarebbe stato più consono un discorso più asciutto, ma io parlavo proprio di dati numerici, statistici.
Ok, in questo caso dobbiamo intenderci sulla parola "ricercatezza".
L'applicazione di stilemi consunti non implica necessariamente una ricerca. Tutt'al più una maniera.. un esercizio.
L'applicazione degli stessi stilemi in funzione di qualcosa (ad esempio una dimensione musicale e drammaturgica) sì.
alla fine invece è una donna vera, felicissima, perché ha accettato finalmente il passaggio: chiude la porta sul suo passato, sulla voce dei sogni e delle favole, e diventa la donna del suo uomo.
Tanto felice che scava una tetra disperazione nell'arioso di inizio del III atto...
La parola "fine" secondo te cosa significa?
Secondo me non dovrebbe significare "inizio del terzo atto" quanto "fine dell'opera".
Nell'arioso del terzo atto (in cui per inciso la Fleming è straordinaria) non siamo ancora giunti alla svolta, ma alla radicalizzazione della sua "non scelta". L'atto precedente si era chiuso con la potentissima immagine delle due "stanze" allo specchio che si allontanano, precipitando la ragazza nel vuoto di chi non è più quella di prima, ma non è ancora quella che sarà.
Se conosci la registrazione DECCA, avverti subito una differenza notevole. A Parigi c'è una fortissima cesura, che negli studi DECCA è molto meno avvertibile. In disco, la Fleming è a corto di fantasia, piuttosto deludente dal mio punto di vista. A Parigi è tutt'altra cosa.
A Parigi seppe assecondare Carsen in maniera eccezionale... tranne (per me, si intende) al canto alla Luna.
Lì è come se avesse messo uno stop, sulla regia, sul personaggio, su tutto e avesse detto: mo' vi faccio vedere di cosa sono capace.
Conlon non è assolutamente in affanno.
Ora sono a casa e non ho il materiale sotto mano.
Ricordo però benissimo un problema di rapporto orchestra-voce nella seconda strofa.
Ci ho fatto caso a teatro e me lo sono ritrovato pari-pari nel dvd (segno che il dvd deve essere stato preso dalla mia recita, la seconda). Controllerò meglio e ti dirò.
Io voglio sentire, in Rusalka, proprio questo
In teoria, come ho detto, più il personaggio è "giovane" più l'interprete dovrebbe astenersi dall'usare la retorica più sfacciata e compiaciuta. L'irruenza e l'ingenuità (in teoria) non si sposano all'artificio e al manierismo.
Anche a livello ritmico, sempre in teoria, è più giovanile chi addenta il tema musicale, se ne lascia trasportare, invece che rotolarcisi dentro e allentarla in mille volute.
Tutto questo (come per la Normann e la Caballé) in teoria.
In pratica - te lo concedo - se mi trovi un'interprete che riesca a variare ritmo e dinamica pur risultando giovane e acerba come un giunco, allora sarò il primo a inchinarmi! Come ho detto, il risultato conta sempre di più.
Però se mi citi, a sostegno della tesi, la Fleming divastra e la Benackova matrona e i loro voluttuosi birignao come emblemi di chissà quali terremoti ormonali e adolescenziali, allora proprio non ci siamo!
Meglio le mie teorie!
Il risultato... il risultato....
Salutoni,
Mat