Gran bella questione! Sono in linea con quanto scrive Enrico. E vorrei, a costo di lenzuolare come al solito
provare a spiegare meglio perché.
A mio parere si può uscire da questo apparente vicolo cieco solo cercando dapprima di definire cosa sia il barocco (con particolare riferimento all’opera lirica) per poi chiarire se Mozart possa essere davvero considerato un esponente del barocco.
Barocco è una definizione, e in quanto tale (il termine "definizione" significa, etimologicamente, ciò che fissa un limite, un confine) rischia di risultare riduttiva. Riduttiva almeno quanto la definizione di “belcanto”, autentica araba fenice (“che vi sia ciascuno lo dice,
cosa sia nessun lo sa”), vera croce e delizia di tutti gli appassionati d’opera. Belcanto è definizione che, nel suo includere fenomeni diversissimi tra loro (dal punto di vista dello stile esecutivo e degli interpreti), risulta in definitiva un vocabolo vuoto, un termine in grado di esprimere tutto e il contrario di tutto, una parola
passepartout, buona per tutti gli usi, soprattutto come arma da contrapporre a chi la pensa diversamente (arrivando alla degenerazione estrema del concetto, per cui “belcanto” diventa pura soggettività, qualcosa che è nella testa di pochi eletti, detentori e custodi dell’arte canora, e tutto il resto è mal-canto e persino mal-costume).
A grandi linee, comunque, potremmo definire il “barocco” come il momento estetico finalizzato a destare la meraviglia (“è del poeta il fin la maraviglia”, diceva il poeta barocco Giambattista Marino). In questo senso, il “barocco” travalica gli angusti limiti temporali tradizionali (quelli riportati e, a loro modo, imposti da tutti i manuali di scuola): anche il Burj Khalifa, il grattacielo di Dubai, l’edificio più grande del mondo, è “barocco”.
Comunque, se proprio vogliamo continuare ad utilizzare l’aggettivo “barocco” con riferimento all’opera lirica, vediamo di capire qual è l’accezione comune di questo termine. L’opera barocca è un genere operistico definito dalla forma e dal contenuto. La forma, proprio come quella del
barroco (la perla irregolare che, secondo alcuni, è la base etimologica del termine “barocco”), è caratterizzata dall’irregolarità, dall’eccesso, dalla stravaganza: l’opera barocca parla un linguaggio vocale dove l’artificio (la forma innaturale imposta dall’arte e quindi dall’uomo) ha la meglio sulla natura, dove il virtuosismo è portato all’esasperazione, e dove regna su tutto il tema della variazione e del contrasto (arie tripartite con schema A-B-A’ con ripresa della prima parte variata e sezione mediana contrastante per atmosfera). Il contenuto, in maniera similare alla forma con cui esso si esprime, è finalizzato a destare la meraviglia. L’opera barocca rifugge dalla quotidianità e si apre su mondi irreali, fantastici (insistendo su quella confusione tra vita e sogno propria di molti capolavori teatrali di quest’epoca da “La vida es sueno” di Calderòn de La Barca a “La tempesta” o al “Sogno di una notte di mezza estate” di Shakespeare) , lontani nello spazio (ambientazioni esotiche) e/o nel tempo (tematiche mitologiche o storiche).
Come si inserisce Mozart in questa discussione? Sicuramente vi sono alcune sue opere ascrivibili al “barocco” (si pensi al giovanile “Ascanio in Alba” o all’Idomeneo). Ma a partire dalla trilogia dapontiana, Mozart crea qualcosa di inaudito per forma e per contenuto. La forma subisce una rivoluzione: le arie si aprono ad una maggior libertà formale, frantumando la rigida gabbia strutturale che animava le arie tripartite dell’opera barocca, e la composizione complessiva dell’opera evolve verso un sempre maggior “naturalismo”: alla staticità si contrappone il movimento del dialogo (si pensi al finale primo del “Le nozze di Figaro” o del “Don Giovanni”). Il contenuto è del pari innovativo. Non solo per l’ambientazione popolare (aspetto che si riscontra già a partire da “La serva padrona” di Pergolesi), ma per la resa magistrale della complessità dell’essere umano nel suo caleidoscopio di emozioni. Nessuno, prima di allora, aveva ad esempio raccontato in musica i mille volti dell’amore come fa Mozart a partire da “Le nozze di Figaro (si legga il recentissimo libro “E Susanna non vien” di Lidia Bramani e Leonetta Bentivoglio).
Questi elementi di frattura rispetto al “meraviglioso” barocco fanno sì che alcune opere di Mozart appartengano alla modernità. Per “modernità” intendo tutto ciò che crea una frattura con il passato, imponendosi con una nuova forma e un nuovo contenuto. Una nuova lingua che veicola nuovi contenuti. Sembra che il termine “moderno” derivi dal termine “modus parisiensis”, che indicava il nuovo stile di scrittura sorto nell’XI secolo sull’Ile de France quale conseguenza dell’abbandono del pennino e del calamaio in favore della penna d’oca: un nuovo stile per un nuovo contenuto, quello delle monarchie “moderne”. In questo senso, il Gotico era “moderno” rispetto al Romanico. Parallelamente, “Le nozze di Figaro” sono il moderno rispetto ad “Idomeneo”: nuovo lo stile, nuovo il contenuto.
Non utilizzo il termine “moderno” come sinonimo di “contemporaneo”. Contemporaneo è tutto ciò che va mano nella mano con il nostro tempo (con-tempo), ciò che avvertiamo a noi com-presente, attuale, odierno. In questo senso, considerando la barocco-renaissance in voga in questi nostri anni, possiamo dire che il “barocco” è “contemporaneo”, mentre probabilmente non è a noi “contemporaneo” il “verismo”, che pure è moderno (per novità di linguaggio e forma) rispetto al romanticismo.
Avvertiamo alcune opere di Mozart come “contemporanee”, anche se si pongono in continuità (ad esempio Idomeneo) o in dis-continuità (ad esempio Nozze di Figaro) rispetto al barocco.
Quindi, Mozart è barocco o no? A mio parere esiste un Mozart barocco e un Mozart che barocco non è più, ma che è moderno rispetto al barocco (per lingua e contenuto).
Resta il problema dell’esecuzione e dell’interpretazione. Il Romanticismo considerava come opera sua “contemporanea” il “Don Giovanni”, esaltando alcuni aspetti di quesa composizione tanto da distorcerne la fisionomia originaria. Nozze di Figaro e Così fan tutte, che oggi noi consideriamo nostre “contemporanee” (almeno tanto quanto "Don Giovanni"), vennero invece tralasciate e abbandonate. Don Giovanni fu considerata dai Romantici la sola opera di Mozart davvero “contemporanea”. E in quanto loro "contemporanea", i Romantici la interpretarono piegandola al linguaggio e al contenuto del loro tempo: sonorità massicce, archi densi, tempi maestosi vennero utilizzati come linguaggio per narrare una vicenda dalla valenza metafisica. Don Giovanni, il dissoluto punito, divenne quindi il fratello di Faust, l’uomo che si erge contro il limite della propria natura umana nel suo anelito di assoluto. I Romantici tradussero Don Giovanni nella lingua della loro contemporaneità. La loro traduzione fu un tradimento. Il dramma giocoso divenne tragedia.
Ecco perché ritengo che, dopo decenni in cui il Don Giovanni è stato eseguito nella “traduzione” (una “traduzione” poi divenuta “tradizione” esecutiva) propria dei Romantici, sia giusto – anche a costo di un’estremizzazione- eseguire quest’opera facendone avvertire la discendenza dal “barocco”. Un Don Giovanni figlio del suo tempo, che vive del presente in cui nacque, e non più un Don Giovanni come “opera d’arte del futuro”.
E’ tempo di restituire Mozart al suo tempo.
DM
P.S.: Enrico, è sempre un piacere ritrovarti!