Pagina 1 di 1

AMO Arena Museo Opera Verona

MessaggioInviato: gio 19 lug 2012, 9:15
da DottorMalatesta
Il 23 giugno u.s. è stato inugurato a Verona AMO, Arena Museo Opera, il museo dell'Opera a Palazzo Forti. Il museo si presenta come un evento volto a celebrare il centenario dalla nascita del festival areniano, voluto nel 1913 dal tenore veronese Giovanni Zenatello.
A quasi un mese dall’inaugurazione il museo si segnala soprattutto per la scarsità di visitatori (l’Arena, quotidiano locale non secondo a nessun altro in fatto di campanilismo, ha sottolineato come la media dei visitatori si attesti intorno ai 50 al giorno). Per quanto riguarda l’affluenza, posso confermare tale dato (io ero l’unico visitatore!), forse in parte dovuto alla scarsa pubblicità o all’elevato costo del biglietto di ingresso (10 euro il prezzo intero, 5 euro per i “fortunati” possessori di un biglietto della stagione areniana!).
Già dalla prima sala si capisce perfettamente che lo spirito intorno a cui nasce uno spazio espositivo come AMO è quello dell’opera (mal)intesa come spettacolo nazional-popolare. Ora, ammesso e non concesso che l’opera sia prima di tutto uno spettacolo, e accettando entro certi limiti la definizione di “nazionale” e di “popolare”, essa nel suo intimo non è e non è mai stata, al di fuori del carnevale zeffirellian-areniano, “spettacolo nazional-popolare” (termine offensivo e volgare, quasi si volesse paragonare la più alta forma di teatro mai realizzata a mero intrattenimento televisivo della domenica pomeriggio). Così come, a dispetto di quanto più volte ricordato durante il percorso espositivo, Aida non è affatto l’opera più spettacolare di Verdi (bensì la sua creazione più intima, più borghese, e di certo la meno areniana). In definitiva, l’opera è museo essa stess, guazzabuglio polveroso di cartapesta dorata, ciaffi, parrucche ed elefanti canori? O non è piuttosto teatro che parla all’uomo di ogni tempo e luogo?
La concezione secondo cui l’opera è soprattutto uno spettacolo avulso da ogni contenuto drammaturgico e spirito teatrale sorregge l’intero impianto espositivo del museo, che riesce perfettamente nell’intento di allontanare dal teatro d’opera coloro che incauti vi si volessero accostare.
Nelle 15 sale di cui è composto, AMO si limita a giustapporre, senza alcuna logica che non sia un’esaltazione della banalità più bieca, una discreta quantità di materiale importante: alcune lettere autografe, partiture (Aida, Trovatore, Traviata, Tosca), bozzetti (quelli celeberrimi di Adolf Hohenstein per la prima di Tosca, quelli di Ettore Fagiuoli per la prima volta all’Arena, etc.). Il tutto inframmezzato da gigantesche scenografie egizie (rigorosamente di cartapesta dorata com’è giusto che sia) e da discutibili postazioni interattive (raccappricciante quella dei leggii degli orchestrali che, se toccàti, danno l’avvio ad un video in cui un areniano Marcelo Alvarez si strangola sulla cabaletta del Trovatore rigorosamente abbassata di tono).
Imperdibile l’intervista video alla responsabile dei costumi: “In Aida ci sono centinaia tra cantanti e comparse, e ognuno sul palcoscenico indossa un costume” (e credo bene! Vorrei proprio vedere Radames col pisello oscillante alla brezza estiva…).
Naturalmente, nelle 15 sale di cui il museo è composto, mai e dico MAI compare l’abborrita parola “regia”. Perché, nella logica zeffirellian-areniana, l’opera è succursale di Gardaland per vecchiette nostalgiche e turisti in canotta, all’opera non ci si va per rivivere con commozione una storia, né tantomeno ci si va per pensare. Ma allora, viene da dire uscendo dal Museo, di andare all’opera, chi me lo fa fare?

Ciao,
Francesco