Tucidide ha scritto:Ma se volessi fare il provocatore, potrei dire che "chi è rimasto indietro", "il pigro" potrebbero rivolgere ai "moderni" l'accusa di essere criticoni che si fanno le seghe mentali e vanno a cercare nel canto lirico e nell'opera in generale chissà quali contenuti.![]()
Esattamente lo stesso che facevano loro ai loro anni.
IL canto di Di Stefano e il canto di Del Monaco esprimeva, ai loro anni, contenuti che andavano oltre il suono in sè, anzi di cui il suono era portavoce.
Un canto aspro e carnale come quello di Del Monaco si allineava, più o meno consapevolmente, al collo taurino di Girotti in Ossessione di Visconti.
Un'umanità aspra e popolare, sanguigna e rurale, trovava nel canto di Del Monaco, nelle sue fibrosità, nel suo martellamento muscolare il riflesso della rivoluzione neorealista.
Nè noi, nè i cantanti di oggi (come quelli di ieri) passiamo il tempo a farci le seghe mentali (espressione tua, a me non piace).
Ma il canto di qualsiasi tempo e di qualsiasi estrazione è sempre "contenuto fatto musica".
Attenzione, dico solo questo, a non scivolare in questo vortice, a non voler dire, cioè, che chi ama Alvarez è pigro e retrogrado: se anche ciò fosse vero, non lo troverei comunque un atteggiamento censurabile.
Del resto - parentesi personale - io sono una persona estremamente reazionaria e passatista, sulle cose "che contano".Tanto per dirne una, tornerei ad una scuola modellata sulla riforma Gentile con gli emendamenti del dopoguerra, con tanto di bocciature selvagge e spietate ed obbligo scolastico a 14 anni.
Insomma, nell'arte (opera e letteratura in primis) sfogo il desiderio di anarchia e di "nuovo" che in altri ambiti non mi appartengono.Ma la mia naturale inclinazione mi porta comunque a rispettare e non giudicare chi è passatista ed è "rimasto indietro".
Stiamo uscendo dall'ambito musicale. Ti rispondo ugualmente perchè siamo nel "salotto" dove si può (teoricamente) scantonare un poco.
Ovviamente, se i miei colleghi moderatori non sono d'accordo, posso cancellare il messaggio.
Nel caso il mio precedente post non fosse stato chiaro, vorrei specificare, Tuc, che il mio discorso non era una guerra "passato" contro "presente".
Chiunque legga da anni i miei post (come te) sa che io venero il passato. E che anche io ritengo che molto di ciò che viene spacciato per "progresso" (oggi come ieri) non lo sia affatto.
Il mio discorso riguardava solo ed esclusivamente il "presente", il suo evolvere e fluttuare senza posa.
La guerra, se vogliamo chiamarla così, che intravedevo è solo nell'atteggiamento degli uomini nei confronti del presente.
Alcuni - per semplificare - riescono a riconoscerne l'instabilità (e quindi ad accettare l'inevitabile cambiamento a cui costantemente ci costringe, anzi a farne parte); altri preferiscono far finta che in esso vi siano condizioni fisse e immutabili, per le quali vanno benissimo le ricette del passato (ricette, inutile dirlo, che ai loro anni erano state approntate proprio per adeguarsi alle evoluzioni del "presente di allora").
è bello parlare di "rispetto", dire che tutti sono bravi, che ogni idea è buona e giusta!
Sono affermazioni che ci mettono immediatamente nella categoria dei "buoni".
Però occorre anche dire ciò in cui si crede, se davvero ci si crede.
Ebbene, io credo che sia sbagliato (in politica, in arte, nella scienza, nella vita quotidiana) l'atteggiamento di chi nega l'evoluzione e il cambiamento.
E' una forma di autodifesa, un destino della senescenza, al massimo posso anche ritenere che sia un fattore utile alla dialettica civile.
Ma è comunque - PER ME - sbagliato.
Perché invece nulla è stabile, nulla è definitivo, nulla è certo.
Questo non significa ovviamente che sia giusto esaltare supinamente tutto ciò che di nuovo ci viene proposto.
Il bello del "nuovo" è che va sottoposto al vaglio, va "sperimentato". Non è affatto detto che si adatti alle specificità del presente. Lo si prova, lo si tiene o lo si butta via.
Proprio come le leggi della genetica: la natura elabora nelle specie animali diecimila novità e poi ne sacrifica moltissime e ne seleziona alcune, che non sono "giuste" in assoluto, ma semplicemente più idonee al presente. Anche esse, col mutare delle condizioni, diventeranno superate.
Il "vecchio" può anche essere recuperato (il tuo esempio della riforma Gentile); ma non perché "vecchio è bello"; piuttosto perché - per una serie di coincidenze - le condizioni del presente sono simili a quelle che in passato hanno prodotto il vecchio.
Ad esempio: le giraffe, tanti anni fa, avevano il collo corto; poi gli alberi sono diventati alti e il collo delle giraffe si è allungato.
In un futuro gli alberi alti potrebbero estinguersi: le giraffe torneranno ad avere il collo corto.
Il ritorno al passato non è, dal punto di vista delle giraffe, un atteggiamento da "tradizionalisti", ma anzi da "modernisti". Un adeguarsi (come sempre) alle evoluzioni del presente.
Per fortuna in natura non c'è la giraffa che - come certi uomini - si rifiuta di accettare l'evoluzione e si ostina a mantenere il collo lungo, perché "ce l'aveva mio padre prima di me, e mio nonno prima di lui". Quella giraffa infatti morirà di fame.
Venerare il passato, studiarlo, capirlo non significa trovarvi per forza le ricette per il presente: il presente ha bisogno di ripensarsi continuamente, anche recuperando il passato, anche opponendovisi, anche sperimentando nuove vie e poi scoprire che sono sbagliate a loro volta e quindi sperimentandone altre. Questo nel canto, questo nell'istruzione, questo in tutto...
L'importante è non stare fermi, non affidarsi alla pigrizia, non cedere alla paura del presente, non negare il cambiamento, che è l'unica vera Legge di questo nostro universo. Ecco perché smettere di andare all'opera e poi (quell'unica volta) commuoversi di fronte ai singulti di Alvarez nel 2005 è per me ASSOLUTAMENTE sbagliato.
Questo ovviamente è il mio pensiero, il pensiero di uno ...molto più tradizionalista di te! credimi!

Salutoni,
Mat